Eroi, talpe, traditori e 007. Le spie venute dallo schermo

Nascita, successo, filoni e mode del cinema d'intelligence da Griffith a "Tenet": un genere del tutto "sui generis"

Eroi, talpe, traditori e 007. Le spie venute dallo schermo

Spionaggio e controspionaggio, Sabotage (1936), missioni suicide, missioni sotto copertura, missioni difficili, Mission: impossible. Agenti segreti - maschi, ma anche femmes fatales - seduzioni e delitti, organizzazioni segrete, Topaz (1969), reti da smantellare, codici, intercettazioni - La conversazione di Francis Ford Coppola (1974), Le vite degli altri (2006) -, propaganda (tanta propaganda: il cinema ne è un formidabile strumento, da sempre) e poi tecnologie di ultima generazione, formule e armi segrete, piani per impadronirsi del mondo e eroismi per salvarlo, coraggio e tradimenti, l'arte della tagline (esempio: «Non fidarti di nessuno, sospetta chiunque», La talpa, 2011), guerra e intelligence - le due guerre mondiali, la Guerra fredda, il Vietnam, il disgelo, il terrorismo islamico, il post 9/11, e anche il futuro: Johnny Mnemonic (1995), Face/Off (1997) - misteri di Stato e Servizi deviati, intrighi, sciarade, primule rosse, Attacco al potere (1998), cyberspazio, armi di distruzione di massa...

È il cinema di spionaggio, bellezza. Che però, per lungo tempo, non ha avuto una vera autonomia. Prima è stato considerato una derivazione o un filone del giallo, del noir o del cinema di guerra, poi lentamente ha acquisito una caratterizzazione sempre più precisa, fino a diventare un genere a sé, oggi fra i più amati e di maggior successo. Il cinema delle spie è finalmente una categoria riconosciuta e da tempo anche una garanzia al botteghino. Ma ancora mancava un'iniziativa editoriale - tra storia e critica del cinema - che mappasse la materia, definendo confini, caratteristiche, autori, pellicole, tematiche, mode...

Adesso c'è. Eccola. Curata da Giancarlo Zappoli, direttore di MYmovies, con il supporto determinante della redazione di Gnosis, la rivista italiana di intelligence dell'Aisi (l'Agenzia informazioni e sicurezza interna), si intitola Ciak! Si Spia. Il cinema e l'intelligence (Nuova Argos, pagg. 806, euro 39) ed è un'opera monumentale che in tre volumi, dodici capitoli, ottocento pagine, ben 923 film presi in esame (ma ne mancheranno di certo molti) e un curatissimo apparato iconografico (foto di scena, locandine, ritratti di attori e registi, manifesti...) attraverso centoventi anni di storia del cinema - dal 1895, quando apparve il cortometraggio muto The Execution of Mary, Queen of Scots di Alfred Clar, al 2020 delle distorsioni spazio-temporali di Tenet di Christopher Nolan - ricostruisce la trama, in tutti i sensi, della rappresentazione dell'universo delle spie sul grande schermo. A confermarlo come un unicum nel panorama editoriale italiano, e fra i lavori più aggiornati a livello internazionale, la prefazione di Gian Piero Brunetta, il quale non ha dubbi sulle ragioni per le quali i film di spionaggio hanno conquistato un ruolo sempre più importante nell'immaginario del Novecento: «Oltre al motivo del doppio, della moltiplicazione di ruoli e maschere, delle doppie verità, dei doppi giochi, dei tradimenti e complotti ai danni di Servizi concorrenti, o di poteri politici o economici nemici, c'è il fatto di affrontare i grandi temi della modernità, esplorare i nuovi orizzonti della ricerca scientifica e le possibili deviazioni, registrare o prevedere i continui mutamenti degli equilibri geopolitici, interrogarsi sulle forme e sui modi dell'egemonia politica e sulle variazioni dei giochi di ruolo sulla scena mondiale delle grandi potenze e di immaginari poteri occulti». I misteri del cinema.

Ciak! Si Spia. Ed ecco la lunghissima pellicola che scorre: i cortometraggi di fine Ottocento, i mediometraggi degli anni Dieci, i lungometraggi e i kolossal, da Griffith a Clint Eastwood, da Lawrence of Arabia all'affaire Dreyfus, le due grandi stagioni del genere «spy» (da una parte gli anni Trenta sull'orlo del conflitto mondiale, dall'altra gli anni Sessanta di 007 e della Guerra Fredda), dagli adattamenti dei romanzi di John le Carré, John Buchan o Graham Greene alla polemica della New Hollywood dei Tre giorni del Condor, dal neorealismo di Francesco De Robertis (1902-59), un maestro del cinema spionistico italiano, ai «jamesbondoni» - come li ha chiamati Stefano Di Marino, ovvero parodie in cui sedicenti agenti segreti si destreggiano in un mondo d'intrighi che non conoscono a là Austin Powers - dai gangster movie fino a Jason Bourne... E poi, visto che lo studio-enciclopedia procede lungo un asse cronologico ma vive di trasversali contaminazioni storico-politico-sociali, ecco pagine sulle tradizioni nazionali, i filoni minori, le opere di nicchia, i lavori sperimentali, le pellicole d'autore e i blockbuster, dai bianco/nero per cinéphiles a Nikita (un cult, come si dice) e xXx (adorato dai teenager...). Centinaia e centinaia di titoli per restituire le ramificazioni, la diversità, la profondità e l'originalità di un genere da sempre amato più dal pubblico che dalla critica e che ha segnato - al pari dei grandi classici, il western o la fantascienza - il nostro modo di guardare la complessità del mondo. Cercando una via d'uscita. E le spie ne hanno sempre una segreta.

L'opera di Giancarlo Zappoli e del gruppo di Gnosis offre infiniti percorsi di lettura, permette di recuperare film di solito esclusi dalle storie del cinema o dimenticati, ridisegna il ruolo della spia, e non solo dal punto di vista cinematografico (figura ambigua che agisce nell'ombra ma che conquista le luci del palcoscenico, eroe che salva il pianeta e doppiogiochista che lo precipita nel caos, strumento di volta in volta del Bene e del Male, fra debolezze morali e intransigenze ideologiche) e suggerisce spunti di riflessione curiosi o inediti. Ne citiamo alcuni. Nei primi decenni del cinema sono le donne che, nel vestire i panni della spia, pur risultando i bersagli più fragili, assurgono per prime al ruolo di eroine divinizzanti (Greta Garbo e Marlene Dietrich). Se fino agli anni Quaranta la regola generale è che nei film di spionaggio le passioni hanno il primato sulle missioni, con lo scoppio del secondo conflitto mondiale l'aspetto militare-propagandistico ha la meglio, soffocando la componente sentimentale dalle sceneggiature. Nello stesso tempo l'agente segreto perde la sua algida invisibilità e acquista tratti più drammatici e volti umani: il confine tra giusto e ingiusto, fedeltà e tradimento, diventa più incerto. Hitchcock è tra i primi a scardinare il manicheismo etico e ideologico e gli schematismi narrativi, e la Guerra fredda farà il resto. Ancora. A partire dagli anni '70 alcuni registi decidono di usare la macchina da presa come strumento d'investigazione, riaprendo sullo schermo casi archiviati in sede giudiziaria (un'onda lunga che arriva fino a JFK di Oliver Stone): solo per stare in Italia si possono citare le «istruttorie» di Francesco Rosi (Il caso Mattei, 1972, Cadaveri eccellenti, 1976), Damiano Damiani (Io ho paura, 1977), Bernardo Bertolucci (Il conformista, 1970) fino a Marco Risi (Il muro di gomma, 1991). Segreti di Stato.

E per il resto, una piccola nota «caratteriale».

Avete notato come sono cambiate le spie negli ultimi vent'anni? Se negli anni Ottanta-Duemila il «tipo» dell'agente segreto era Jack Ryan, armato di fiducia nei valori democratici, patriottismo e spirito di sacrifico, dopo - senza più patrie o ideologie da difendere - ci siamo ritrovati non più uomini d'intelligence ma soldati preparati per missioni speciali, spesso cupi, soli, disillusi, a volte impotenti contro terrorismi fanatici e jihad, altre traditi e braccati dalle loro stesse Agenzie. Meno smoking, più mimetiche. Finito il Martini, rimangono i martiri.

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