Anche Putin molla il dittatore. Che continua a bombardare Homs

Anche Putin molla il dittatore. Che continua a bombardare Homs

La comunità internazionale aumenta la pressione sulla Siria e per la prima volta anche la Russia apre alla possibilità di un cambio di regime, anche se Putin dice «di non volere un’altra Libia». Ma sono durissimi anche gli interventi di Cameron e, sopreattutto, Obama: «Assad ha i giorni contati». Difficile però che ci sia tempo per salvare Homs, la città stretta d’assedio che si avvia verso il martirtio.
Ventiquattro ore dopo l'entrata delle truppe siriane nella roccaforte dell'opposizione, Bab Amro, gli attivisti accusano il regime di Bashar El Assad di portare a termine esecuzioni e vendette a Homs, sotto assedio da oltre un mese. Giovedì, i disertori dell'Esercito libero siriano hanno lasciato il quartiere, all'avanzata dei carri armati. Secondo Will Davies, dell’organizzazione internazionale di attivisti Avaaz, i ribelli sono stati costretti a ritirarsi per evitare uno scontro diretto che sarebbe costato soprattutto alla popolazione civile, già terribilmente provata da settimane senza rifornimenti di cibo, senza acqua corrente ed elettricità, sotto i costanti cannoneggiamenti del regime. Havin Kako, portavoce dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, al telefono da Londra spiega come da ieri sia diventato ancora più difficile entrare in contatto con gli attivisti a Homs. Secondo l'associazione, dieci persone sarebbero state giustiziate ieri a Bab Amro. In altre città della Siria, dice Kako, sono morte almeno 12 persone. E ieri, a Rastan, città satellite di Homs, 20 chilometri a Nord, ci sono state nuove manifestazioni, represse dalle forze del regime. La Bbc parla di 56 vittime, ma è impossibile avere certezze.
Rastan, come Daraa al Sud, è stato uno dei focolai della rivolta siriana. A maggio 2011, la popolazione aveva rovesciato una statua di Hafez El Assad, padre di Bashar ed ex presidente. Il giorno dopo, i carri armati erano in città.
L'entrata delle forze del regime a Bab Amro rischia di essere un punto di svolta per le sorti della rivolta siriana. Perdere Homs, nel cuore del Paese, su una delle arterie stradali vitali, è troppo rischioso per il regime, spiega al Giornale Michael Provence, esperto di Siria e professore all'Università della California. Homs, dice, si trova lungo una linea Nord-Sud che connette Aleppo, Hamaa, Homs e Damasco. Il regime è a Bab Amro da giovedì, ma i tumulti a Rastan indicano che Homs non è sotto il controllo delle autorità. Rastan, zona di sostenitori del regime, è da sempre bacino di rifornimento di funzionari, burocrati e ufficiali di medio livello per il regime, soprattutto sunniti, spiega Tony Badran, della Foundation for Defense of Democracies. Se la leadership è alawita, i grandi numeri tra le fila dei militari sono sunniti. Per il governo, gli effetti di una caduta di questo sobborgo sarebbero importanti.
Ieri, la comunità internazionale ha reiterato la sua condanna contro il regime: l'Unione europea ha annunciato la preparazione di nuove «sanzioni mirate»; il presidente americano Barack Obama ha detto che «La questione non è se, ma quando il regime cadrà»; il premier britannico David Cameron, rivolto a Mosca e Pechino, alleati di Damasco, li ha spinti a guardare alle sofferenze della Siria e di ripensare al proprio appoggio a «questo regime crudele». E per la prima volta, il premier russo Vladimir Putin ha chiesto a regime e opposizione di fermare lo spargimento di sangue.

La Croce Rossa internazionale, però, ancora ieri sera, restava bloccata alle porte di Bab Amro, senza autorizzazione a entrare da parte delle autorità siriane. Will Davies, di Avaaz, accusa: «Il regime prima di garantire l'accesso alla Croce Rossa vuole ripulire il sangue, far scomparire i morti e le prove della atrocità».

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