La brutta fine del presidente mai nato

I sostenitori di Hollande urlavano: "Sarkozy c’est fini". Ha iniziato a perdere dal primo giorno all’Eliseo. Imperdonabili le cadute di stile e l’ostentazione del potere

La brutta fine del presidente mai nato

La tragedia (politica) di un uomo ridicolo. Più che un presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy è stato un malinteso, l'attivismo frenetico scambiato per dinamismo intellettuale, la mancanza di gusto, di educazione, di equilibrio, travestita da volontà innovatrice, il complesso di inferiorità tipico dei parvenus, nelle istituzioni come in società, rimpannucciato negli abiti del dissacratore e del modernizzatore di un sistema ritenuto vecchio e superato.
Come sempre accade, quando la storia si ripete si trasforma in farsa, e la sindrome napoleonica può portare solo a bonapartismi grotteschi. L'altezza era la stessa, così come la ricerca senza vergogna e impietosa del potere, l'esibizionismo e l'idea di incarnare un destino e persino una nazione. Era tutto il resto a essere diverso.
Sarkozy ha cominciato a perdere la sera stessa in cui, cinque anni fa, era uscito vincitore da un’elezione che, grazie alla sua posizione privilegiata di ministro degli Interni, alla debolezza dell'avversario, all'onda lunga di un duplice mandato chirachiano, appariva pressoché scontata. Gli è stata fatale l'accoppiata Fouquet+yacht, il festeggiare come se fosse un miliardario, il festeggiare insieme ai miliardari. Non è vieto moralismo, è che lì c'era la pompa e la mondanità, il cotè nouveau riche e l'ostentazione volgare, la perdita del senso del limite, il fascino del denaro, in breve, e questo in un Paese dove, come ha spiegato il filosofo Pascal Bruckner, «l'argent est le tabou». Da Balzac a Proust non c'è romanzo dove l'ipocrisia borghese non giri intorno a esso, sempre presente, mai pubblicamente rivendicato. Per scusarlo, i suoi intimi hanno tenuto a specificare che quel modo sfrontato di festeggiare era «per far piacere a Cécilia», la moglie fuggitiva e che da lui non sarebbe più tornata: era lì «la sua parte di umanità, la sua debolezza, il suo essere uomo come gli altri». Peccato però che si trattasse del presidente della Repubblica, in un sistema voluto da de Gaulle per dare al primo cittadino quell'allure monarchica che la Francia ha in fondo sempre rimpianto. Qui invece ci si ritrovava uno che, per far piacere alla moglie, la trasformava persino in ambasciatrice alla corte di Gheddafi, come avvenne nell'incredibile vicenda delle infermiere bulgare accusate di aver inoculato il virus dell'Aids ai bambini libici… Poco dopo i francesi avrebbero avuto lo stesso Gheddafi a Parigi, con tanto di tenda a fianco dell'Eliseo, quel Gheddafi che pochi anni dopo Sarkozy avrebbe fatto bombardare in spregio a ogni diritto internazionale.
Sul rapporto con Carla Bruni è già stato detto tutto, ma si capiva facilmente come l'Eliseo fosse per un neo eletto smodato e incontinente lo scenario per una soap opera, una specie di giardino privato dove un piccolo uomo giocava a fare il premier seduttore. «Ma chi abbiamo eletto?» hanno cominciato a chiedersi i suoi concittadini.
Da allora in poi, è stato un crescendo, la grossolanità di linguaggio («Casse toi, pauvre con», togliti dalle palle, a un poveraccio che si era rifiutato di stringergli la mano; «lo appenderò a un gancio da macellaio», a proposito del rivale de Villepin al tempo dell'affare Clearstream), l'incredibile siparietto anti-italiano con la Merkel, in perfetto stile da comico dell’avanspettacolo, l'incapacità di staccarsi dal clichè di chi è ossessionato dal potere dei soldi: «Questo Léger è più caro di Klein? Meno caro di Matisse?», davanti a una mostra d'arte… La crisi economica ha fatto il resto.
Nulla illustra meglio la psicologia di Sarkozy di quella sua frase riportata da Philip Goucevitch, giornalista del New Yorker, nel suo bellissimo libro No exit: «Tutti i miei concorrenti, fin dalla nascita sono stati scelti e vezzeggiati ripetendo loro: “Sei il migliore, il più bello, il più intelligente”. Tutti hanno fatto studi brillanti. Guarda come si amano. Io sono d'un altro genere: sono il bastardo. Ma, ecco: è il bastardo che è divenuto presidente».
Dopo cinque anni, «il bastardo» si ritrova espulso come un qualsiasi Bel Ami di provincia che è andato lì dove non sarebbe dovuto andare. Un'espulsione che coincide con l'esplodere della stessa destra che lui era stato chiamato a rifondare.

Il successo di Marine Le Pen apre una stagione nuova di lotte intestine che, già alle prossime legislative, vedrà regolamenti di conti, nuove alleanze, nuove divisioni. L'uomo del «cambiamento» lascia provocando la dissoluzione del suo stesso partito. «Sarkozy c'est fini» urlavano ieri sera i supporter del neo eletto François Hollande. In realtà non era mai iniziato.

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