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Carlo boccia l’auto ma lui ne guida sei

Ultime da Buckingham: il principe invita i sudditi ad andare a piedi. Finiti i tempi in cui qualche nobildonna di Francia (quella di Maria Antonietta è leggenda) suggeriva ai contadini, che avevano finito il pane, di ricorrere alle brioches, ecco che i tempi moderni ci offrono parole e pensieri ambientalisti del futuro re d’Inghilterra che una ne fa e cento ne pensa, o, se preferite, il contrario. Si potrebbe essere d’accordo sull’uso dei marciapiedi e dei parchi inglesi per evitare l’inquinamento acustico e atmosferico, il numero di automobili è in costante aumento, le strade sono sempre quelle, street ma larghe, però, come hanno immediatamente e perfidamente scritto quelli del Daily Telegraph, il principe Carlo ha un garage fornito come un salone di esposizione: due Jaguar, due Audi, una Range Rovers e poi il suo balocco preferito, un’Aston Martin DB6 che sua madre, Elisabetta, gli donò al compimento di anni ventuno.
Per essere coerente con il personaggio verde, cioè ecologista, che Carlo si è cucito addosso, l’erede medesimo al trono ha deciso, da tempo, di rinunciare alla benzina. Che fa, principe, spinge? Ma no, figuratevi, la postura sarebbe poco elegante, però sarebbe in linea con l’appello a camminare. No, il motore della sua Aston Martin, quella di James Bond ma senza lame rotanti e affini, va a vino, bioetanolo E 100, roba d’annata, a denominazione di origine non meglio controllata, anche se le uve provengono da filari reali. E così l’Aston Martin che beveva 24 litri di gasolina puzzolente ogni 100 chilometri adesso si fa quattro bottiglie e mezzo per miglio, senza nemmeno un singhiozzo e senza nemmeno dover depositare i vuoti.
Esistono fotografie di lady Diana appoggiata sensualmente, con le gambe accavallate, sul cofano della vettura di colore blu chiaro. Non credo che lo stesso veicolo riesca a sopportare gli stones, le libbre della seconda consorte.
Carlo è davvero una sagoma di futuro re, ha avuto due mogli, dicono che ci sia stata anche un’altra amante, si diletta con lo sci e con il polo, ha studiato la lingua gallese a scuola per onorare il titolo di principe del Paese omonimo, sta aspettando di salire al trono ma, visti i precedenti della nonna che ha salutato l’isola a cento e uno anni, e la vivacità della madre, che, a ottanta e fischia, non molla un solo evento, sa benissimo che più il tempo passa e più dovrà concentrare la propria attenzione sull’ecologia, il clima, la desertificazione e su Camilla. A palazzo si sussurra che quando verrà il giorno dell’incoronazione, il re prenderà il nome di Giorgio, in omaggio al nonno Giorgio VI, abbandonando il nome di battesimo che porta jella, i due predecessori (Carlo I Stuart e Carlo II finirono uno decapitato dal boia e l’altro tra esili e tormenti vari).
Il problema, comunque, esiste ogni volta che uno della Windsor family si espone, che sia Filippo, principe di gaffes, o William e Harry quello con la svastica al braccio, senza trascurare Camilla e la sua eleganza di portamento. Un bel gruppo, insomma, nel quale Carlo fa la sua figura reale anche se il popolo inglese, stando ai sondaggi dei tabloid, gradirebbe far saltare un turno alla corona, per celebrare subito William, tutto suo madre Diana. La qual cosa eviterebbe a Camilla di diventare regina, con tutti gli annessi e connessi. Di certo su una cosa non si può discutere: sull’eleganza di Charles Philip Arthur George Mountbatten-Windsor. Porta con classe anche il kilt, è stiloso anche addobbato da pescatore, a cavallo sembra far parte di un quadro di Jacques-Louis David, indossa gilet e cravatte in armonia di colori, usa i gemelli e li accarezza spesso e volentieri, quasi un tic, per qualcuno trattasi di un messaggio. Il giorno del matrimonio, ventuno di luglio dell’ottantuno, con Diana Spencer, toccò continuamente i due gioielli che portava ai polsini della camicia. Erano il regalo di nozze dell’amica Camilla Parker Bowles, presente al fatto.

Forse si stava già portando avanti con il lavoro. Altre domande?

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