Grecia, Turchia, Brasile: via libera ai golpe?

Quanti dimostranti devono scendere in piazza a chiedere le dimissioni di un governo perché l'intervento dell'esercito passi da "illegale" a "legittimo"?

Grecia, Turchia, Brasile: via libera ai golpe?

Domanda da un milione di dollari: quanti dimostranti devono scendere in piazza a chiedere le dimissioni di un governo perché l'intervento dell'esercito al loro fianco passi da «illegale» a «legittimo»? I 14 milioni (calcolo fatto a spanne) di egiziani delle manifestazioni anti-Morsi sono evidentemente bastati, perché gli Stati Uniti hanno mantenuto gli 1,5 miliardi di dollari di aiuti alle Forze armate del Cairo che per legge avrebbero dovuto sospendere in caso di golpe e anche gli altri Paesi hanno accettato il fatto compiuto. Ma, in un periodo in cui mega-manifestazioni antigovernative variamente motivate si stanno moltiplicando nel mondo intero, e secondo l'ultimo sondaggio di Transparecncy International solo il 10% degli europei ha fiducia nei propri governanti riguardo alla lotta alla corruzione, il problema travalica i confini dell'Egitto. Se molti Paesi ne sono - almeno finora - immuni, è solo perché il loro esercito è troppo legato all'ordine costituito per prendere le parti dei ribelli, per quanto numerosi e rappresentativi siano e buone ragioni abbiano. Nella Ue, si pensa in primo luogo alla Grecia, fuori dall'Unione alla Russia. Nel Terzo mondo, il caso dell'Egitto ha numerosi precedenti: nelle Filippine, le Forze armate contribuirono al successo della rivolta popolare contro Marcos negli anni Ottanta, quelle tailandesi ad abbattere un governo corrotto del 2006 e in Africa gli Eserciti hanno spesso coadiuvato l'ira popolare contro dittatori vari, magari all'inizio legittimati dalle urne. In genere, la comunità internazionale chiudeva un occhio, e magari approvava. Ma ora ci troviamo di fronte a un fenomeno diverso: enormi masse, soprattutto di giovani della classe media, che pacificamente chiedono la rimozione di un governo, o di un presidente, legittimamente eletti ma che sono venuti meno ai loro impegni. Molti si chiedono, per esempio, che cosa sarebbe accaduto in Turchia, durante le imponenti manifestazioni anti-Erdogan, se questi nei suoi undici anni di governo non avesse tagliato le unghie alle Forze armate, già intervenute tre volte nel dopoguerra per rovesciare governi che, a loro avviso, avevano tradito lo spirito della Costituzione. Oppure se, dopo la rivolta della piazza contro Dilma Rousseff, i militari brasiliani, a loro volta con un passato «golpista», avessero assecondato i voleri della folla e destituito la presidente, stavolta «nell'interesse del popolo». La regola della democrazia è che i governanti legittimamente eletti, per quanto si dimostrino incapaci o dispotici, non possono essere deposti con la forza bensì rimossi con il voto.

Ma nella nostra epoca tumultuosa, in cui le folle si mobilitano molto più facilmente di una volta grazie ai social network e al mugugno, subentra facilmente la discesa in piazza, i tempi lunghi di questo processo (Morsi avrebbe dovuto governare per altri tre anni) sono talvolta oggettivamente irrealistici. Si torna così al punto di partenza: perché la cacciata di un presidente, o di un intero governo rimanga sì illegale, ma diventi di fatto legittima, quanto radicata deve essere la protesta?

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