La guerra civile in Siria dagli occhi dei bambini "Assad ci sta divorando"

Soldati che sparano, sangue, le sbarre di un carcere. In un tratto di matita lo choc dei piccoli in fuga dalla Siria. Il dittatore come un leone feroce

La guerra civile in Siria dagli occhi dei bambini "Assad ci sta divorando"

Parla di sangue e morte la canzone scritta da Baraa, 14 anni, che la ragazzina canta a lezione assieme ai suoi compagni, davanti alle impassibili maestre e al preside, attivisti o parenti di attivisti: «È cominciato tutto a Daraa», canta ricordando le violente repressioni e i civili uccisi nelle manifestazioni della primavera del 2011, «Bashar è arrivata la tua ora di essere ucciso».

Baraa è di Latakia. Da mesi non ha notizie dei suoi due fratelli, di 17 e 24 anni, arrestati dalle forze di sicurezza. La scuola improvvisata al piano superiore di una palazzina nei sobborghi della cittadina turca di Antiochia, a pochi chilometri dal confine siriano, accoglie 154 bambini, dai sei ai 15 anni, scappati con le famiglie dalle violenze nel loro Paese.

La Siria è stata il tema delle discussioni del summit della Lega araba di Baghdad ieri, ma nonostante gli sforzi diplomatici, le preparazioni per la conferenza degli Amici della Siria, domenica a Istanbul, e l’approvazione da parte del regime di Damasco del piano di pace dell’Onu, le violenze vanno avanti e sul campo la situazione continua a essere quella tragica raccontata dai disegni dei bambini della scuola di Antiochia e dalle loro canzoni.

Nelle teste degli scolari, raccontano le maestre, c’è soltanto la rivolta, quello che hanno visto nelle strade delle loro città, che hanno sentito alla televisione, quello che i genitori ripetono a casa.

Molti indossano sciarpe e cappellini di lana con i colori nazionali, bianco, rosso e nero. Una bambina di seconda elementare mostra un disegno: ci sono fiori e farfalle con i colori siriani, e le scritte «Siria» e «dignità».

Dopo mesi passati lontano dalle violenze in Siria, gli alunni stanno ritrovando la normalità, raccontano le insegnanti. I primi giorni, però, i disegni erano molto meno innocenti, parlavano di sangue, spari e morte. Le maestre ne hanno tenuti alcuni, per esporli in una piccola mostra. Un bambino ha disegnato quella che sembra essere una manifestazione: i dimostranti gridano Allahu Akbar, Dio è grande, sotto il fuoco di soldati, di un carro armato e di aerei che lanciano bombe. Accanto, c’è scritto: «L'esercito siriano ad Aleppo». In un altro disegno i soldati sparano ridendo (nel fumetto in arabo c’è scritto «ah ah ah»), ci sono morti e sangue per terra. Qualcuno ha disegnato invece due grandi mani e la scritta «libertà». Sono ammanettate. Un altro alunno immagina un prigioniero dietro le sbarre: piange e le lacrime sono a forma di stella, simboli sulla bandiera siriana. C’è chi ha rappresentato il raìs siriano come un gigantesco leone (Assad in arabo significa leone). La bestia sta mangiando un uomo. Il bambino ha scritto: «Sappiamo che sei Assad-leone, ma mangi il tuo popolo». C'è anche l’Esercito libero siriano nei disegni dei bambini.

«Alcuni alunni hanno visto fratelli o padri portati via dalle loro case con le armi puntate alla testa», spiega Sally Al Binni, maestra di matematica di Hama. Dice che i bambini non ne parlano in classe, ma che gli choc subiti vengono in superficie in modi diversi. Sua figlia di cinque anni ripete di volere abiti o giochi lasciati indietro, «Quella camicetta bianca che avevo a Hama», per esempio. Sally spiega come le maestre stiano facendo il possibile per riportare la normalità. «Quando sono arrivata sono rimasta sorpresa da come questi bambini fossero già uomini e donne - dice Fatima Asaad, ex studente di psicologia, ora maestra - Non volevano giocare. Parlavano soltanto di violenza, di arresti, di morte, soprattutto di spari. Con il passare del tempo hanno ricominciato a divertirsi». Ma quando giocano a guardie e ladri - racconta una collega - si dividono tra forze di sicurezza e manifestanti.

Come le altre maestre, Fatima ha iniziato come volontaria. Ora, quando ci sono i soldi, il suo salario è di 300 lire turche, 126 euro al mese. La scuola, aperta a settembre per i figli di profughi siriani che non vivono nei cinque campi aperti lungo confine dal governo turco, sta cercando di ottenere l’autorizzazione di Ankara, ma di seguire i curricula siriani. All’inzio, non c’erano neppure i libri di testo.

Gli unici soldi arrivati finora, dice il preside, sono stati cinquemila dollari donati dall’ambasciata del Qatar. Per insegnare arabo, le maestre usavano il Corano. Poi, attraverso le vie del contrabbando, è arrivato anche un libro scolastico, fotocopiato per tutti.

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