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Israele, Shalit racconta la sua prigionia

In Israele, dove ogni ragazzo appena diplomato passa tre anni nell'esercito, le vicende di Shalit sollevano ancora forti emozioni a un anno esatto dalla sua liberazione

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Tel Aviv - In Israele, dove ogni ragazzo appena diplomato passa tre anni nell'esercito, le vicende di Gilad Shalit, 26 anni, il soldato catturato da Hamas nel 2006, sollevano ancora forti emozioni a un anno esatto dalla sua liberazione.

Nell'anniversario del suo ritorno a casa dopo cinque anni di prigionia, Channel 10, canale israeliano, ha mandato in onda estratti della prima intervista rilasciata dall'ex caporale, oggi sergente maggiore non in servizio. Shalit, che ha cercato finora di mantenersi il più lontano possibile dalla stampa nazionale e internazionale e che nelle poche comparse pubbliche è sembrato fragile e provato dalla lunga detenzione, nell'intervista appare più rilassato. Rivela dettagli della sua prigionia, in cui l'amore per gli scacchi e per il pallone ha reso le relazioni con i suoi sequestratori più facili. Ricorda i tesi momenti della liberazione, il terrore che qualcosa andasse male all'ultimo momento, e poi il difficile ritorno a casa.

Durante la prigionia, la maggiore paura del soldato rapito da miliziani di Hamas, il movimento islamista palestinese che controlla Gaza, è stata quella d'essere dimenticato, di finire, ha detto come Ron Arad. Del pilota israeliano catturato nel Sud del Libano nel 1986 non si conosce ancora oggi la sorte. Avevo «paura d'essere dimenticato, che non avrei avuto più nessuno con cui parlare. Che mi avrebbero fatto sparire», ha detto Shalit.

A Gaza, il soldato Shalit riusciva a tenere il conto dei giorni e delle ore grazie alla chiamata alla preghiera islamica. Per passare il tempo s'inventava giochi. Faceva liste per tenere allenata la memoria, disegnava mappe d'Israele o di Mitzpe Ramon, il villaggio all'estremo Nord, quasi in Libano, in cui vive la sua famiglia, in una bassa villetta immersa nel verde.

Nei cinque anni di detenzione non sono mancati momenti d'interazione con i carcerieri, costruiti attorno a «un minimo comune denominatore»: lo sport, ancora oggi una passione per Shalit, che negli ultimi mesi ha inziato a scrivere articoli sul tema per il maggior quotidiano israeliano, Yedioth Ahronoth. Spesso, Shalit usava calzini o magliette per creare palloni e trasformava il cestino della spazzatura in un cesto da pallacanestro. Altre volte, interagiva con i carcerieri: «Durante la giornata, giocavo con loro: scacchi, domino». «C'erano momenti in cui sorgeva una qualche emozione, una risata, mentre guardavamo una partita o un film». Il ricordo va a una partita in particolare, quella tra Hapoel Tel Aviv e Lione, quando segnò il centravanti israeliano Eran Zehavi e i carcerieri di Hamas si sorpresero del buon calcio giocato da Israele.

Shalit è stato liberato l'anno scorso in uno scambio di prigionieri tra il governo israeliano e Hamas a Gaza. Ieri, nella Striscia, il movimento islamista ha indetto celebrazioni per la scarcerazione di quei 1.

027 detenuti e le Brigate Ezzedine Al Kassam, il suo braccio armato, hanno annunciato l'uscita di un video sull'operazione che portò alla cattura di Shalit.

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