A Kiev è guerra civile. Si spara, altri cento morti

Il sindaco della capitale lascia il partito: "Basta con questo bagno di sangue". Gli oppositori sequestrano 67 poliziotti

Altro che tregua. L'infelice Ucraina sprofonda ormai nella guerra civile e le strade della sua capitale si trasformano in un mattatoio. Non si riescono nemmeno più a contare i morti, a Kiev: chi stima 50 (l'ambasciatore italiano Fabrizio Romano ieri mattina), chi dice cento (fonti degli ospedali, ormai simili nell'orrore a quelli militari da campo), chi teme molti di più. Sul numero dei feriti si possono solo fare ipotesi, ma si contano a centinaia. Kiev, capitale europea - anche se troppi preferiscono dimenticarlo - ricorda ormai il tragico spettacolo offerto vent'anni fa da Sarajevo, con i cecchini del governo amico di Mosca che sparano dai tetti sugli oppositori nelle strade annerite dal fumo, come mostrano immagini e filmati visibili in tutto il mondo grazie ai social network. Oppositori che, non va dimenticato, sono in molti casi a loro volta armati e sparano senza complimenti. Ma la pretesa del presidente Viktor Yanukovich che i suoi uomini non siano armati è una grottesca menzogna smentita da immagini inequivocabili: l'opposizione denuncia «l'uccisione con pallottole di 60 manifestanti». Una carneficina che continua in spregio degli sforzi delle diplomazie. Mercoledì sera la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente russo Vladimir Putin avevano assicurato dopo un colloquio telefonico «uno stretto coordinamento» tra Berlino e Mosca per impedire che la situazione in Ucraina sfugga di mano. Ieri erano a Kiev gli inviati dell'Ue, i ministri degli Esteri tedesco Steimeier, quello francese Fabius e quello polacco Sikorski. I tre hanno fatto la spola per molte ore tra Yanukovich e i leader dell'opposizione ucraina, Vitaly Klitschko, Oleh Tyahnibok e Arseny Yatsenyuk, facendo pressioni per uno sbocco pacifico della crisi. La Merkel ha telefonato a Yanukovich sottolineando «i rischi incalcolabili» se le violenze continuassero. Entro oggi saranno attivate sanzioni «contro i responsabili delle violenze» e concessi visti Ue «per membri della società civile, feriti e dissidenti». Il Consiglio Esteri Ue considera Yanukovich «primo responsabile della situazione attuale». Al momento, una tregua sembra improbabile. Nel centro di Kiev si spara e si muore, in molte altre città dell'ovest dell'Ucraina - roccaforte del nazionalismo antirusso - sono in corso manifestazioni e azioni anche violente contro il governo e i suoi rappresentanti, e in diversi casi, come nella provincia occidentale della Transcarpazia, la polizia è passata armi e bagagli coi rivoltosi. L'episodio più notevole della forza anche militare di questi ultimi è la cattura a Kiev di 67 poliziotti, che secondo il ministero dell'Interno sarebbero ora tenuti in ostaggio. Yanukovich ostenta l'intenzione di tener duro e anzi minaccia nelle prossime ore di schiacciare la rivolta manu militari lanciando un intervento finale contro gli oppositori armati. Ma qualcosa si muove, nel suo settore del campo politico e diplomatico, che inizia a far scricchiolare il suo potere.

Il sindaco di Kiev, l'ormai ex fedelissimo Volodymyr Makeyenko, ha lasciato il suo «partito delle regioni» per protestare contro «il bagno di sangue in corso in città» e ha annunciato di «assumersi personalmente la responsabilità di assicurare i mezzi di sostentamento ai suoi abitanti»; dieci deputati dello stesso partito al potere hanno sottoscritto un documento in cui esortano la polizia e i Berkut (forze antisommossa) «a non rispettare la direttiva criminale» con cui vengono autorizzati a sparare sui manifestanti, chiedono «a entrambe le parti di fermare le azioni aggressive e avviare colloqui di pace con la partecipazione di osservatori Ue e americani»; e oltre 200 diplomatici ucraini hanno firmato un appello sulla pagina Facebook del ministero degli Esteri per «un compromesso e la firma dell'accordo di associazione con l'Ue». Il sostegno di Mosca e l'uso della violenza potrebbero non bastare più.

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