La svolta della Casa Bianca nella guerra al terrorismo non è stata annunciata con troppo tempismo. È vero che Obama ha parlato all'indomani del massacro brutale di Londra e a poco più di un mese dalla strage della maratona di Boston, quindi ha voluto sottolineare che la nuova minaccia è il «terrorismo interno». Però, nell'annunciare il cambio di rotta - fine degli attacchi indiscriminati (cioè non in «zone di guerra») con i contestatissimi droni, inizio del trasferimento dei detenuti di Guantanamo per arrivare, come da promessa elettorale, a chiudere il carcere - il presidente ha voluto lanciare soprattutto un messaggio: «L'America non è in guerra con l'islam». Senza considerare però, forse, la possibilità del contrario: perché poi il presidente ha spiegato che l'America è «a un bivio», a dodici anni dall'11 settembre, e dovrebbe intraprendere una nuova fase, la fine dell'era segnata dalla guerra ad al Qaida, con un ritrovato equilibrio tra «sicurezza nazionale e libertà individuali».
Ma il terrorismo interno - se è di matrice islamica - come si dovrebbe combattere, visto che spesso i manovali dell'odio subiscono lavaggi del cervello da parte dei predicatori estremisti o addestramenti in Afghanistan?
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