Putin punta sull’odio anti-Usa e la paura del terrorismo

Putin punta sull’odio anti-Usa e la paura del terrorismo

Lo zampino dello straniero dietro le rivolte di piazza. L’incubo degli attentati che si riaffaccia. Gioca sulla retorica anti occidentale e sulla paura il premier Vladimir Putin alla vigilia delle presidenziali del 4 marzo che quasi certamente - resta da stabilire con quali percentuali - lo riporteranno al Cremlino. È di ieri la notizia, diffusa dalla tv di Stato russa, che i servizi segreti moscoviti, in collaborazione con quelli ucraini, avrebbero sventato un attentato - che risalirebbe a un mese fa o forse più - da parte di due ceceni e un cittadino kazako, che avevano il loro covo in un appartamento a Odessa sul Mar Nero, in Ucraina. Ma c’è più di un dubbio sulla notizia diffusa a orologeria, comprese le date divergenti. E i detrattori di Putin sospettano che l’annuncio faccia parte di una strategia elettorale, che include i messaggi indiretti su una possibile regia straniera dietro alle manifestazioni anti-regime che stanno riempiendo le piazze russe. L’obiettivo è chiaro: Putin vuole che gli elettori lo scelgano come alternativa al caos o a una eventuale rivoluzione finanziata dagli Stati Uniti, che da ex ufficiale del Kgb rimangono uno spauracchio, addirittura un’ossessione personale.
Anche l’intrigo internazionale ai danni del premier annunciato ieri alla tv farebbe parte di questa strategia: «mobilitare l’opinione pubblica secondo la logica che siamo circondati da nemici che vogliono distruggere il nostro leader», ha spiegato l’analista Dmitri Oreshkin su radio Eco di Mosca. I contorni della vicenda suonano oscuri. Il primo attentatore, Ruslan Madaiev, muore in un’esplosione accidentale nell’abitazione il 4 gennaio. Inizialmente si pensa a una fuga di gas, poi le autorità scoprono dell’ esplosivo sul luogo. Ma solo il 4 febbraio arrestano il presunto capobanda, Adam Osmaiev, 31 anni, e Ilya Pianzin. I due rilasciano una video confessione: l’obiettivo era colpire il corteo del premier sulla strada dalla sua residenza al Cremlino, lungo il noto Kutuzovski prospekt, con mine azionate a distanza (non proprio nello «stile ceceno»), e altri target strategici. L’esplosivo nascosto nei paraggi del grande viale fin dal 2007 ma trovato dai servizi poco fa. Il mandante sarebbe Doku Umarov, il sedicente Emiro che guida i ribelli del Caucaso. Un intrigo che, come in un film di spionaggio, va dagli Emirati Arabi, indicati come fonte di finanziamento per l’operazione, all’Ucraina via Turchia per raggiungere la Russia. Impietoso il commento della giornalista Iulia Latinina: «Non val la pena di crederci».
Intanto il premier gonfia i muscoli, agita lo spettro di una piazza teleguidata dagli Stati Uniti come, sostiene, lo fu la piazza ucraina nel 2004 (la rivoluzione arancione filo-occidentale scoppiò proprio sull’onda delle proteste contro i brogli delle presidenziali che portarono al potere il filorusso Viktor Iuanukovich).

Così fa il duro con il veto all’Onu su Siria e Iran, con le promesse di riarmo, con il monito che la «battaglia per la Russia continua» e «la vittoria sarà nostra». Resta da vedere con quali risultati. I numeri, nonostante la vittoria annunciata, faranno la differenza.

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