«Avete preso la persona giusta».Potrebbero essere le parole di un informatore segreto, uno dei tanti che popolano i milioni di telefilmtutti ugualmente violenti, tutti ugualmente pieni di sangue - che dall’America siriversano, con notevole successo, sulle nostre reti nazionali nelle fasce orarie di punta. «Avete preso la persona giusta». È il nostro sollievo quotidiano, il sospiro della nostra coscienza che, dopo aver goduto della quotidiana carneficina, sa di poter stare ancora una volta dalla parte giusta, dalla parte dei più buoni, i quali per fortuna hanno anche una mira migliore dei cattivi. «Avete preso la persona giusta» sono invece le parole di una madre: Arlene, la madre (o la presunta madre) di James Holmes, l’assassino (o il presunto assassino)
di Denver. Chissà se è davvero la madre, chissà se Holmes è davvero Joker, o se questo è solo un altro film. Forse ha ragione Pirandello (che sarebbe il caso di andarci a rileggere, tutti): così è, se vi pare. La sola certezza è quella frase, così frequente nella sua formulazione e, al tempo stesso, così indifferente rispetto al soggetto che la pronuncia: verità, menzogna, madre, informatore segreto, che differenza fa?
Quando i morti saranno seppelliti e i riflettori puntati sullo strazio dei familiari si spegneranno, è facile che tutto questo si riduca al ricordo di un film come tanti, uno di quei film diretti da un regista di seconda fascia, incapace di trasformare la violenza in dolore, il dolore in denuncia.
Invece il punto è che nessuno di noi può dirsi fuori da questa faccenda, perché un ragazzo di ventiquattro anni che vive in una casa piena di armi e sente qualcosa di nome Joker crescergli dentro fino a coincidere con la sua pelle, be’: questa è una cosa che ci riguarda tutti. E piantiamola di dire che sono cose americane: americana può essere la forma (mah, e Brevik?), non certo la sostanza.
La sostanza, già. È ora di parlare della sostanza. Una rassegna teatrale milanese s’intitola «Da vicino nessuno è normale», frase che fu pronunciata da una leggenda della cultura italiana: Franco Basaglia.
Io non sono uno psichiatra e non so bene cosa intendesse Basaglia con queste parole. So però che la frase, presa per sé, è una cretinata, e che la nostra società dovrà renderne conto, a Dio o alla storia. La frase, presa per sé, porta dritta dritta a questo ragazzo che vive in un arsenale e fa strage in un cinema di Denver.
Sì, perché il presupposto di quel crimine come di quella frase, il presupposto culturale che tutti, coscienti o no, ormai condividiamo come qualcosa di assodato e indiscutibile, è che ognuno di noi coincide con il progetto che ha su sé stesso. Una concezione colpevolmente superficiale della libertà umana ha portato a questa deriva. Ciascuno è quello che vuole essere. Calciatore? Presentatore tv? Politico? Attore? Artista? Assassino?
Architetto? Ladro? Truffatore? Omosessuale? Eterosessuale? Tutte queste categorie sono altrettante scelte di vita, altrettanti progetti, che ogni essere umano - essendo l’uomo nient’altro che questa progettualità - ha il diritto di perseguire. Non tutti ci riescono, non tutti ottengono il successo: agli altri non restano che le lotterie, il gratta-e-vinci, il telepoker.
La sostanza della questione sta in un progetto educativo che ha cercato di separare l’uomo dalla sua origine,di cui l’uomo non è padrone. Il bene e il male non sono quello che ciascuno pensa che siano, così come non è vero che da vicino nessuno è normale, perché le differenze esistono, e il mondo è pieno di bravi padri di famiglia che si fanno in quattro per crescere i loro figli, vogliono bene alle loro mogli e non hanno mai molestato sessualmente nessuno, anche se di loro non si parla mai, oppure se ne parla se si è in cerca, come sciacalli, di patologie nascoste.
«Io sono mia!» diceva Lucy dei Peanuts. Questa frase diventò uno slogan, poi una verità indiscutibile, infine un luogo comune. Bene, è ora di dire che quella frase è un’altra cretinata, perché noi non siamo nostri: c’è una radice, in noi, che ci lega a tutti i nostri simili e a qualcosa- chiamatelo Mistero, chiamatelo Dio - che sta prima di noi e dei nostri simili.
Noi siamo esseri dipendenti, che lo vogliamo o no. Questo è ciò che dobbiamo ricominciare a imparare, se vogliamo capire che cos’è, veramente, la libertà.
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