Il Patto sulla Migrazione e l'Asilo, una delle riforme più complesse e dibattute nella storia recente dell'Unione Europea, si appresta a entrare in una fase cruciale. Con l'entrata in vigore formale e vincolante prevista per giugno 2026, tutti i 27 Stati membri dovranno allinearsi a un nuovo quadro normativo concepito per affrontare e ridurre l'immigrazione irregolare verso il blocco. La riforma è un mosaico di atti legislativi interconnessi, ognuno dei quali mira a rafforzare la gestione dei flussi migratori e a ricostruire il clima di fiducia tra le capitali europee, logorato da anni di dispute sulla redistribuzione dei carichi.
Una delle novità più significative introdotte dal Patto è la procedura veloce per le domande di asilo, che mira a snellire e accelerare l'iter decisionale in casi specifici, ovvero per i richiedenti provenienti da un Paese considerato sicuro, o che comunque presenta una bassa percentuale di riconoscimento dell'asilo. In questi frangenti, la richiesta sarà trattata con il criterio della "direttissima", con l'obiettivo di concludere la valutazione entro tre mesi. Durante questo iter accelerato, i richiedenti dovranno essere ospitati in centri appositi e in caso di esito negativo della procedura, seguirà l'immediato rimpatrio. Il secondo elemento cardine della riforma riguarda la distribuzione degli oneri tra gli Stati membri, basato sui concetti di responsabilità e solidarietà obbligatoria.
I Paesi di primo approdo, come l'Italia, la Spagna, Cipro e la Grecia, mantengono la responsabilità primaria di registrare i migranti in arrivo e di trattare le loro domande di asilo e di contro gli altri hanno il dovere di essere solidali, un obbligo che si concretizza attraverso due meccanismi principali: l'accettazione di quote di ricollocamenti dei richiedenti asilo oppure il versamento di finanziamenti a sostegno dei Paesi di primo arrivo. La Commissione Europea ha già identificato Italia, Spagna, Cipro e Grecia come Paesi che potranno richiedere il meccanismo di solidarietà l'anno prossimo, dati gli attuali volumi di arrivi. Tuttavia è prevista una clausola di condizionalità in base alla quale se l'Esecutivo Ue dovesse accertare che i Paesi di primo approdo non hanno rispettato le regole stabilite in materia di registrazione, gli altri Stati membri potranno legittimamente rifiutare gli aiuti previsti.
Inoltre, benché i rimpatri non siano gestiti direttamente dal Patto, essi ne costituiscono una componente cruciale per l'efficacia del sistema. La Commissione ha avanzato nuove proposte a marzo e i negoziati sono tuttora in corso allo scopo di potenziare l'efficacia delle operazioni. L'obiettivo è quello di arrivare al riconoscimento automatico delle decisioni di rimpatrio tra gli Stati membri, all'introduzione di regole precise sul rimpatrio forzato e all'offerta di incentivi per il rimpatrio volontario. Inoltre, la normativa apre alla possibilità di istituire centri di rimpatrio in Paesi extra-UE, un modello che l'Italia ha già anticipato con il protocollo stipulato con l'Albania. Proprio sul tema, il presidente Giorgia Meloni nelle dichiarazioni congiunte con Edi Rama ha sottolineato che quanto il Patto sarà operativo "i centri funzioneranno come dovevano funzionare dall'inizio: avremo perso due anni per finire esattamente com'era all'inizio. La responsabilità non è la mia, arriveremo due anni dopo a fare esattamente quello che potevamo fare due anni prima. Penso che ciascuno si assumerà le sue responsabilità".
Il terzo pilastro è in via definizione ed è strettamente legato al tema dei rimpatri, ossia la definizione univoca di "Paese sicuro". Secondo la proposta avanzata dalla Commissione a maggio e attualmente in fase di negoziato, è in vista una modifica sostanziale: non sarà più necessario che esista un legame preesistente e obbligatorio tra il richiedente e il Paese terzo sicuro.
Il semplice transito attraverso un Paese terzo ritenuto sicuro, prima di raggiungere il territorio dell'Ue, potrà essere considerato un collegamento sufficiente. Se dovesse passare questa chiave di lettura, gli Stati membri potrebbero negare le domande di asilo, a meno di eccezioni.