La verità russa «è una menzogna senza fine». Ecco perché «si devono pronunciare parole chiare». «Il silenzio significa sostenere l'aggressore, la guerra». Mikhail Shishkin è il miglior romanziere russo vivente e oggi più che mai, con la guerra in Ucraina in corso, non manca di dire parole inequivocabili sulla Russia, sugli orrori del passato e del presente commessi in nome della sua madrepatria, e sulla democrazia, che il Paese, di fatto, non ha mai conosciuto, nonostante i due tentativi del 1917 e degli anni '90. Sono parole intense e sofferte, a cominciare da una triste ammissione: «Fa male essere russi», fa male che «la lingua di Puškin e Tolstoj, di Cvetaeva e di Brodskij sia diventata la lingua dei criminali di guerra e degli assassini».
Eppure quella di Shishkin è una «dichiarazione d'amore» per il suo Paese, una nazione con «una natura meravigliosa e una cultura grandiosa, ma che continuamente diventa un mostro che divora i figli stranieri e i suoi stessi figli».
Unico scrittore ad aggiudicarsi finora i tre maggiori premi letterari russi, vincitore del Premio Strega Europeo 2022, Shishkin ha lasciato la Russia nel 1995 e vive da anni in Svizzera, dopo aver lavorato come interprete per i rifugiati, insegnante e giornalista. Oppositore di Vladimir Putin, tanto da aver rifiutato di rappresentare la Russia al Book Expo del 2013 negli Stati Uniti e da aver criticato subito, e duramente, l'annessione della Crimea nel 2014, lo scrittore cresciuto nel centro di Mosca, oggi tradotto in 30 lingue, è appena uscito in Italia con un saggio che aiuta a capire perché e come una grande nazione e un grande popolo siano soggetti da sempre a una dittatura basata sulla menzogna. Figlio di un'insegnante ucraina e di un ingegnere civile russo veterano della Seconda guerra mondiale, nel suo Russki mir: Guerra o pace, Shishkin racconta e analizza «il mondo russo» (Russki mir) usando un'espressione chiave dell'ideologia nazionalista ed espansionista di Putin, e ripercorre le tappe che hanno plasmato la storia, l'attitudine e il pensiero dei suoi connazionali, dalla fondazione della Russia da parte dei Vichinghi fino a oggi, con tutte le bugie, i privilegi e gli abusi di potere che non ne hanno mai fatto uno Stato democratico, ma un'autocrazia «oppressiva e umiliante» di vecchi e nuovi Zar. In quest'intervista, Shishkin spiega cosa voglia dire per lui essere patrioti oggi, mentre si combatte in Ucraina, e si dice certo che l'unica strada per la rinascita del suo Paese passi attraverso la de-putinizzazione, il pentimento e il riconoscimento della colpa nazionale.
Del conflitto in Ucraina lei scrive: «Questa non è una guerra tra ucraini e russi. Questa è una guerra tra umani, che parlano sia ucraino che russo, e disumani che parlano la lingua della menzogna e sono pronti a eseguire ordini criminali». Non tutti i russi sono patrioti come lo intende Mosca?
«Essere un patriota oggi, amare la mia Russia, significa desiderare che il mio Paese venga sconfitto in questa guerra. La cultura russa può essere salvata solo sconfiggendo il principale nemico della cultura russa: i barbari che siedono al Cremlino. Gli ucraini combattono contro il nostro nemico comune: il regime fascista russo. Non importa cosa dicano al Cremlino, conta solo quello che fanno: fascismo russo. Dobbiamo fare il possibile per aiutare l'Ucraina».
Ai lettori lei spiega che «la menzogna è stata la nostra linfa vitale per generazioni». Le bugie hanno cambiato per sempre i russi?
«I media di opposizione cercano da anni di portare la verità al popolo russo, la propaganda invece mente sugli ucraini nazisti e la voglia della Nato di distruggere la Russia. Avete visto le immagini della mobilitazione: centinaia di migliaia di uomini sono andati in guerra per uccidere gli ucraini e per essere uccisi. Apparentemente, conoscono la loro verità: sono pronti a combattere per la patria, come i loro nonni contro la Germania nazista».
Come stanno invece i fatti?
«Non penso che credano nella de-nazificazione dell'Ucraina. Credono di dover obbedire agli ordini e sacrificare le proprie vite per difendere la madrepatria dai nemici. È la mentalità da generazioni. Il punto è che, dalla nascita, è stato loro presentato questo quadro del mondo: la Russia è un'isola in un oceano di nemici che odiano i russi e vogliono distruggere il nostro sacro Paese. Solo il padre che siede al Cremlino può salvarci».
Lei sostiene che «le immagini degli orrori a Bucha dovrebbero essere mostrate ai russi perché capiscano davvero». I russi saranno pronti alla verità, in un contesto diverso, in futuro?
«In realtà la tv di Putin ha mostrato molto le immagini di Bucha. Ma ha accusato le truppe ucraine di aver commesso quei crimini. Il problema è spiegare alle madri dei soldati morti che i loro figli sono stati uccisi da Putin. I russi devono capire che non sono le vittime, ma gli aggressori e i fascisti. Invece la maggioranza della popolazione pensa ancora che sia stato l'Occidente a cominciare questa guerra contro la Russia e che si debba difendere la madrepatria».
Come si può rompere il muro di menzogne?
«È un processo complesso. Tutti i dittatori sono sempre riusciti a mettere la propria dittatura al posto della madrepatria. La maggior parte dei russi non riesce a tenere separati il regime e il Paese».
Perché la perestrojka non ha funzionato? Lei sostiene che «è stata un successo per la nomenklatura comunista perché, con le privatizzazioni, la nomenklatura politica è diventata nomenklatura capitalista». Perché chi non beneficia dei privilegi non si ribella?
«Eltsin e il suo successore, Putin, sono riusciti a trasformare la Russia in uno Stato criminale basato su princìpi mafiosi. Negli anni Novanta sono state portate avanti riforme, nascoste dietro slogan democratici, che hanno derubato la popolazione. In Russia non esiste proprietà privata, base di una società democratica, nel senso che puoi avere un'attività solo se appartieni alla cosca, che tu sia un piccolo proprietario o un oligarca, e solo se mostri lealtà al capo e al sistema. Se ti opponi, potresti perdere tutto. Niente lealtà, niente proprietà. Le riforme degli anni Novanta hanno portato al discredito dei princìpi della democrazia».
È per questo che i russi non amano Gorbaciov?
«Gorbaciov voleva solo evitare che il colosso malato, l'Urss, andasse verso il collasso, ma non ci riuscì. In Occidente venne celebrato come un riformatore, mentre frenava con tutte le sue forze le riforme democratiche tentando di salvare l'Unione Sovietica comunista. In Russia, gli zar forti sono amati, quelli deboli no; i tiranni sono venerati e coloro che vogliono moderare la tirannia sono odiati. È stato così con Ivan il Terribile e Boris Godunov, è stato così con Stalin e Gorbaciov, e questo perché hanno imparato la lezione con l'esperienza di generazioni nella lotta per la sopravvivenza: in Russia, l'alternativa alla dittatura non è la democrazia, l'alternativa alla mancanza di libertà non è la libertà, ma l'anarchia, l'ordine contro il caos».
Secondo lei la «vittoria della democrazia» già nell'ottobre del '93 fu di fatto la vittoria di una «nuova monarchia». Qual è la nuova faccia della «monarchia»?
«Il volto di una monarchia è sempre il monarca. Boris Eltsin cercava da anni un successore e, nella speranza che Putin fosse obbediente e facile da controllare, ha trovato il topo grigio e tranquillo del Kgb. Ma il topo grigio si è rivelato essere un ratto sanguinario. Putin ha interpretato il ruolo dello zar russo e la sola legittimazione per lo zar russo sono le vittorie. Lui si è legittimato con l'annessione della Crimea, ma la sua interpretazione finirà molto presto. Ora stanno scegliendo nuovi attori per il volto della monarchia».
Vuol dire che la guerra sarà la fine per Putin?
«Sono certo che in Russia ci sarà una de-putinizzazione, ma temo sarà realizzata da un nuovo Putin».
Lei mette a confronto Hitler a Stalin, i due leader più sanguinari della storia, e spiega che la bugia è una costante della storia russa. Hitler «nel suo libro nauseante» esprimeva odio aperto per gli ebrei, invece Stalin non disse una sola parola antisemita, ma iniziò le persecuzioni contro gli ebrei. In cosa Putin è simile o diverso da Stalin?
«Stalin credeva veramente nelle idee marxiste. Era una sorta di fanatico religioso pronto a distruggere il mondo per la vittoria delle sue idee. Come Hitler. L'unica ideologia di Putin, invece, è il potere, prendere il potere e mantenerlo».
Il denaro sporco e il gas, come lei ricorda, hanno aiutato Putin a esportare all'estero la corruzione. È in questo modo che il leader russo ha «comprato» l'Occidente e mantenuto il potere?
«Questa è stata la parte vincente della guerra ibrida contro l'Occidente. Non a caso, dopo otto mesi di orribili crimini dell'esercito russo in Ucraina, ci sono ancora molti sostenitori nel mondo occidentale che fanno lobbying per Putin e la sua guerra e protestano contro l'invio di armi all'Ucraina».
In «Guerra o Pace» lei scrive che i tedeschi sono passati da una «totale e devastante sconfitta in guerra» e hanno poi imparato abilmente a «fare i conti con il passato e con il senso di colpa». Quanto sono distanti i russi da questo momento?
«Noi russi dobbiamo ammettere apertamente la nostra colpa e chiedere perdono. Il riconoscimento della responsabilità collettiva per i crimini del regime di Putin è la condizione necessaria per la rinascita russa. Ma non vedo alcun potere che possa realizzare una reale e profonda de-putinizzazione».
Eppure lei sostiene che, nonostante l'obiettivo della guerra sia la distruzione di un'Ucraina democratica, «il risultato sarà la fine della Russia di Putin».
«La Seconda guerra mondiale non finì con la morte di Hitler, ma con la totale sconfitta della Germania e dello Stato nazista. Sono stati gli Alleati a garantire la possibilità di istituire una Germania post-Hitler, portando a compimento il processo di Norimberga e la de-nazificazione. Il punto è: chi garantirà i cambiamenti democratici in Russia? Chi giudicherà e condannerà i criminali di guerra e i crimini di guerra? Ecco perché temo che la de-putinizzazione avverrà con un nuovo Putin».
In che modo la fuga di milioni di russi, tra cui artisti e intellettuali, sta rafforzando la dittatura, come lei sostiene?
«La condizione per l'instaurazione di una società democratica è la massa critica di cittadini consapevoli dei valori democratici, che accettano diritti e doveri di uno Stato di diritto e sono pronti a difendere tutto ciò. Milioni di potenziali cittadini di un'eventuale Russia democratica hanno lasciato il Paese negli ultimi vent'anni perché non vedono un futuro per se stessi e per i propri figli».
Lei ricorda che «due tentativi di instaurare una società democratica in Russia sono falliti», il primo nel 1917, che durò pochi mesi, e il secondo negli anni Novanta, che ha resistito per alcuni anni. «Ogni volta che il mio Paese cerca di costruire una società democratica si ritrova un impero totalitario». Non c'è speranza?
«Nessuno può sapere quando avverrà esattamente il miracolo. In uno Stato democratico, chi è al potere viene regolarmente rieletto. Si sa quando si terranno le elezioni, ma non si sa chi vincerà. In Russia è diverso: si sa esattamente chi vincerà alle prossime elezioni presidenziali, ma non si sa cosa può succedere al presidente un mese dopo le elezioni. Anche Putin non sa quando e come finirà il suo regime.
Ma la sua fine si avvicina. Nessuna dittatura, con tutta la sua polizia, i suoi soldati, i suoi giudici e le sue prigioni, può vietare il futuro. Secondo tutte le leggi della biologia politica, l'erba verde vivente sfonderà l'asfalto».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.