Lui, Zanzottera, a questa rosea ricostruzione della sua parabola ne contrappone una un po diversa. Ammette ciò che non può negare, cioè di avere prelevato i soldi dei clienti, fingendo di utilizzarli per investimenti di vario genere. Ma nega di esserseli messi in tasca, e chiama in causa i due faccendieri finiti insieme a lui nellordine di cattura del giudice preliminare Caterina Interlandi. Si chiamano Giuseppe Tripodi e Marco Paoli, passaporto italiano e casa in Canton Ticino. Zanzottera non dà loro dei mafiosi o degli ndranghetisti, ma racconta che «andavano sempre in Calabria». Quanto basta, racconta, per avere paura di loro e per eseguire i loro ordini. In cambio, oltre alla garanzia di vivere tranquillo, avrebbe incassato qualche spicciolo e soprattutto un sacco di regali, piccoli benefit che con lo stipendio della banca non si sarebbe mai potuto permettere: orologi, auto di lusso, ragazze opulente.
Quale che sia la verità, di certo cè che tutto accade in un tempio della finanza più riservata: la sede milanese, in piazza SantAlessandro, della Bsi, la Banca della Svizzera Italiana. Qui Zanzottera ricopriva la carica di relationship manager: un titolo che può voler dire tutto e niente, ma che comunque metteva il giovanotto in grado di mettere liberamente le mani nei portafogli dei clienti. Compresi quelli più facoltosi, ai quali Zanzottera attribuiva ordini scritti ed orali che non si erano mai sognati di dare.
Nelle settimane scorse, i complici del bancario milanese erano stati arrestati in Svizzera con laccusa di riciclaggio.
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