La fabbrica degli storpi, arti spezzati in Romania per mendicare in Italia

Obbligati a fare la carità, arrivano dai Carpazi con mani e piedi già fracassati o amputati. Raccolgono fino a 150 euro al giorno ma la somma non resta a loro

Milano Un ginocchio rotto a bastonate o con una pietra e mai ingessato. Una caviglia (meglio due) spezzata e «riaggiustata» dalla parte sbagliata. Piedi, braccia, mani fracassate quando si è ancora bimbi. Arti amputati, senza che ce ne sia il bisogno. C’è una mostruosa fabbrica dell’orrore che, come in un caravanserraglio di antica memoria, nel Terzo millennio, produce denaro. Quello del dolore. Della compassione. Della pietà un po’ morbosa. Li troviamo ogni giorno agli incroci delle nostre città. Ai semafori. Storpi, sciancati, donne e uomini vecchi prima di esserlo, con le mani protese. Chiedono un soldo. Che non sarà mai loro. A Milano sono circa un centinaio. Almeno altrettanti a Roma (nonostante gli sforzi di vigili, polizia e carabinieri che la scorsa estate ne allontanarono a decine e decine), qualcuno meno a Torino, Bologna, Firenze. Mano mano che si scende lungo lo Stivale, spariscono. Praticamente nessuna traccia di loro al Sud, dove a quanto pare la «strada» detta regole diverse. Sono professionisti, malgrado tutto, tragiche vittime di una schiavitù che non si capisce se non possano o vogliano sciogliere. Magari entrambe le cose. Arrivano tutti, o quasi, dallo stesso Paese: Bacau, ai piedi dei Carpazi, capoluogo dell’omonimo distretto, uno dei quarantuno della Romania. Duecentoquindicimila abitanti la città, decine e decine i comuni sparsi attorno. La «leggenda», che purtroppo tanto leggenda non è, racconta che lì, per tanti nomadi della zona di etnia rom, sia consuetudine «rompere» i bambini. Tristi «giocattoli» da rivendere nella grande fiera dell’accattonaggio. Si prestano, si affittano, addirittura si rubano con la violenza. Per trasferirli sui marciapiedi di quel che resta del Belpaese. Il saldo di una giornata di carità, spesa zoppicando 12 ore tra semafori e tubi di scarico delle auto, può fruttare anche più di centocinquanta euro. Non a loro, ai mendici, ma all’organizzazione che li gestisce. Cinque-sei mesi per città, poi si cambia. La Stessa Caritas ha più volte ammonito a non fare più elemosina: «Dare i soldi ai mendicanti significa spesso alimentare un mercato nero gestito da organizzazioni criminali». A Milano, per esempio, nei mesi scorsi i vigili hanno provato a tracciare una mappa, a controllare, a pedinare da lontano, filmandoli, questi tragici paria metropolitani. Reclutati tra i poveri più poveri in Romania. Qui, la loro esistenza se possibile riesce a precipitare in un girone infernale ancor peggiore. Vengono gestiti a gruppetti: sette-otto mendicanti per zona governati, ciascuno, da un paio di «padroncini». Naturalmente connazionali. Sono loro, a fine turno, a mettersi in tasca il guadagno, al «lavoratore» l’obolo finale del dieci per cento. Si occupano di tutto questi moderni mercanti di schiavi con passaporto comunitario. A cominciare dal «kit» per l’accattonaggio. Vestiti laceri, scarpe sfondate e stampelle per gli «storpi»; canna in legno, pietosi occhialini sbilenchi e cappello cencioso simil-Borsalino per l’altra categoria dei loro mendici, cioè quelli emaciati, sdentati, con incolte barbe lunghe e capelli canuti nonostante non abbiano nemmeno cinquant’anni. Derelitti nell’aspetto, forse più che nell’anima. Vengono tenuti prigionieri in fabbriche abbandonate, casolari di periferia, magazzini in disuso. Lì si dorme la notte, alle prime luci dell’alba i furgoncini dei padroni partono verso le «fabbriche», ovvero gli incroci delle strade dove la coda per gli automobilisti è obbligatoria. A fine giornata dopo le accurate perquisizioni dei «caporali», il denaro della misericordia cambia padrone. Per i pasti non c’è problema. Sono gratuiti. Tra Caritas e varie opere pie una minestra e un pacco di biscotti, nonostante l’aguzzino che aspetta fuori, lo si rimedia quotidianamente. Meccanismo imprenditoriale perfetto nella sua atrocità: manodopera a costo zero. Seppur a macchia di leopardo, sindaci vari con ordinanze varie e talvolta fantasiose stanno provando a limitare il fenomeno. Ma risulta francamente impossibile multare per accattonaggio chi nulla possiede. Verbali destinati a servire per un falò su cui scaldarsi. Loro, gli storpi e i vecchietti più o meno finti, di fronte alle forze dell’ordine alla fuga manco ci pensano. A chi li interroga al massimo rispondono di essere ricattati. Nomi non ne fanno, anche se i loro «protettori» sono a venti metri di distanza che li curano.

E raccontano di dover lavorare per pagare i boss che stanno in Romania e che se no si vendicherebbero sulle loro famiglie. Forse soltanto un pezzo di verità. In tutta questa misera disperazione, in fondo, un marciapiede vale l’altro.

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