Farmatruffa, otto aziende nel mirino dei giudici

La procura chiede l’interdizione delle attività o un commissario giudiziale. «Il Ssn danneggiato per venti milioni di euro»

Bepi Castellaneta

da Bari
L’interdizione dall’attività o, in subordine, la nomina di un commissario giudiziale per salvaguardare i livelli occupazionali. È questa la richiesta avanzata dal sostituto procuratore di Bari, Ciro Angelillis, nei confronti di otto società farmaceutiche, autentici colossi del settore tra cui alcune multinazionali: Glaxo, Biofutura, Bracco, Novartis, AstraZeneca, Lusofarmaco, Recordati e Bristol. Il provvedimento cautelare, limitato alla sola sospensione delle vendite, è stato chiesto nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta «farmatruffa», indagini avviate tempo fa sulle presunte prescrizioni gonfiate, un sistema che secondo la procura sarebbe stato utilizzato per far schizzare le vendite di determinate medicine grazie a un accordo a tre: medici, farmacisti e informatori scientifici. Il magistrato inquirente contesta alle società farmaceutiche di aver omesso il controllo sull’attività dei propri dirigenti e dei loro subordinati. Le indagini riguardano anche la Pfizer, ma nei suoi confronti non è stato chiesto alcun provvedimento in quanto la multinazionale ha prodotto documenti attraverso i quali sostiene di aver modificato, rispetto all’epoca dei fatti, i propri moduli organizzativi e di aver allontanato le persone coinvolte.
L’inchiesta è durata due anni e mezzo e si è rivelata un vero e proprio terremoto nel mondo della sanità; con il passare dei mesi le indagini si sono allargate sempre di più e alla fine il pm ha chiesto il rinvio a giudizio per 126 persone mentre in tutto sono circa 250 quelle iscritte nel registro degli indagati. Al centro degli accertamenti condotti dalla procura c’è il sistema che secondo l’accusa sarebbe stato messo a punto per gonfiare le vendite dei farmaci; dalla ricostruzione investigativa è venuto fuori uno scenario inquietante: gli informatori scientifici avvicinavano i medici, i quali firmavano le ricette in cambio di compensi di vario genere, dalle somme di denaro agli orologi ai viaggi in località esotiche. Ma non è tutto: sempre secondo quanto emerso dalle indagini, i medici consegnavano le ricette a farmacisti conniventi, che grazie alla fustelle sui prodotti intascavano il rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale. L’ultimo passaggio riguardava le medicine, compresi costosi «salvavita» da 700 euro a confezione che finivano direttamente nei cassonetti dei rifiuti. Insomma, un raggiro su vasta scala che nel giro di un paio d’anni avrebbe arrecato un danno da venti milioni di euro alle casse della sanità pubblica, una truffa pianificata nei minimi particolari.
L’inchiesta è approdata ormai alla conclusione e le società si difendono. La Glaxo sostiene di essere totalmente in linea con gli adempimenti richiesti dalla legge e di essersi dotata «di un rigoroso codice etico, di un completo modello organizzativo e degli adeguati strumenti interni di controllo previsti dalla legge stessa».

Sulla vicenda interviene anche AstraZeneca, che in una nota precisa di essere «fiduciosa di poter provare che ogni eventuale reato commesso dai propri dipendenti sia attribuibile all’elusione dolosa delle procedure e dei meccanismi di vigilanza da parte di singoli e non alla propria connivenza o carenza di controlli».

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