Per fatto personale

Caro Pillitteri, anzi caro Paolo, sono felice che la presentazione del tuo libro su Craxi sia stata stipata all’inverosimile. Non so neanche se m’hai visto. Ho calcolato quanti avrebbero presenziato a una cosa del genere nel ’93 o ’94: meno di dieci persone, se va bene. L’altro ieri invece c’era gente che avrebbe finto di non conoscerti anche incontrandoti in ascensore, a suo tempo. Tu sai chi sono: sono quel giornalista 24enne che nel ’92 spuntò dal nulla e che pareva quasi l’unico interessato a frequentarti praticamente tutti i giorni, anche se sorridevi poco, allora. Raccogliemmo alcuni nostri colloqui e incredibilmente convinsi un editore a pubblicarli: ne uscì un libro-intervista, clamoroso, che oltretutto fu messo agli atti dell’inchiesta che nel ’96 fece dimettere Di Pietro da ministro. Fu per quel libro che il Giornale mi notò, per quanto bollato come amico dei ladri.

Ti dico queste cose perché l’altro ieri ho intravisto gli sguardi obliqui di qualche topo fuggito a suo tempo: oggi mi tacciono di estremismo craxiano solo perché sono rimasto lo stesso di allora. C’est la vie. Non mi sto celebrando, Paolo: altrimenti, in qualche modo, sarei salito su quel palco con te. Vorrei solo ricordarti: topi erano, topi restano. Au revoir.

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