Cominciamo dalla Lombardia. L'esito del referendum confermativo sulla riforma costituzionale del governo Berlusconi dice una cosa molto chiara: gran parte dell'Italia non vuole il federalismo. Ammettiamolo: era previsto. E se qualcuno pensa che «unaltra riforma», magari targata centrosinistra, sarebbe più gradita, si illude.
O meglio, forse sarebbe più gradita solo se il federalismo fosse tanto annacquato e distorto da finire per essere altro. Il fatto è che la maggioranza degli italiani ama lo stato centralista, assistenzialista, esattore-erogatore e inefficiente. Si sente rassicurata dallo stato-mamma, munifico e pervasivo, anche se poi vantaggi reali non ne ricavano e se ne lamentano. Perciò sia nella Lega sia in Forza Italia si comincia a pensare di accantonare (ma non abbandonare) il sogno federalista concentrandosi sulle regioni, Lombardia e Veneto ma anche Piemonte e Friuli, nelle quali è più forte la domanda di autonomia. Un ritorno a quella macroregione teorizzata dalla buonanima del professor Miglio, compianto teorico della Lega degli anni 90.
L'ipotesi è allettante ma sembra, ancora una volta, complessa e di non breve realizzazione. E allora - pur perseguendola e avendo sempre come traguardo finale un ordinamento autenticamente federale - cominciamo dalla Lombardia. Si cominci qui col pretendere uno statuto speciale di larga autonomia, compresa quella fiscale. Non si capisce, infatti, perché i lombardi abbiano meno diritto ad un ampio autogoverno dei siciliani, dei sardi, dei valdostani, dei friulano-giuliani, dei trentini e dei sud-tirolesi.
Le specificità che danno diritto all'autonomia non possono essere solo linguistiche o geografiche: la Lombardia ha le sue forti specificità e pretenda perciò uno statuto speciale. Che però deve essere votato solo dai lombardi, senza chiedere il consenso ad altri.
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