Cronaca locale

Ferrante torna prefetto: il Leonka rispetti la legge

L’ex candidato dell’Unione: «Non si può condonare l’illegalità». Augusto Rocchi (Rifondazione): «Non capisco questa sinistra»

Gianandrea Zagato

La parola d’ordine è «legalità». E manda kappao la sinistra milanese perché fa a pugni quando si tenta di coniugarla con il Leoncavallo. Fa venire il mal di pancia a diessini, prodiani e verdi chiamati a commentare quell’equazione siglata da Vittorio Sgarbi: «L’illegalità del Leoncavallo va in un qualche modo condonata in virtù del valore artistico che esprime». Equazione che non disturba il vicepremier Francesco Rutelli, anzi è pronto a dare una mano all’assessore Sgarbi. Ma gli altri dell’Unione no.
Anche chi al Leoncavallo, in occasione delle primarie dell’Unione, ha incassato il ventitré per cento dei voti fatica a condividere il pensiero dell’assessore alla Cultura: «Condonare l’illegalità? No». Sintesi del pensiero di Bruno Ferrante che al civico 7 di via Watteau vede «un pezzo di storia milanese» perché, il Leoncavallo, «ha pure svolto un’attività suppletiva rispetto a quelle amministrazioni comunali che non sono riuscite a creare centri aggregativi per i giovani». Virgolettati dello sconfitto candidato sindaco della sinistra che auspica comunque «una soluzione ragionevole» sul futuro del centro sociale di via Watteau perché «il Leoncavallo è un punto fermo che non si può buttare via con uno sgombero».
Posizione sottoscritta da Andrea Fanzago, numero uno della Margherita a Palazzo Marino: «Non c’è niente da condonare rispetto agli affitti mai pagati alla proprietà di quell’area occupata illegalmente. Ma il Comune può trovare la soluzione per dare al Leonka uno spazio, con un percorso nella legalità». Come dire: nessun colpo di spugna sul passato. E lo sostiene anche Carlo Monguzzi, capogruppo regionale dei verdi: «Gli autonomi di via Watteau si devono mettere in riga e come tutti devono stare nella legalità. È la regola numero uno anche se è giusto riconoscergli un ruolo nella società milanese. Altrimenti?». Opzione glissata da Monguzzi ma non da Roberto Biscardini, senatore della Rosa nel Pugno: «Non esiste alternativa all’abuso ovvero lo si punisce. Se una persona o un gruppo occupano abusivamente uno stabile e poi si scopre che questo è stato abbellito e trasformato in un’opera d’arte, be’ l’opera d’arte si mette sotto teca ma quella persona o quel gruppo pagano ogni danno commesso secondo codice».
Niente sconti, come reclama pure Nando Dalla Chiesa, sottosegretario del governo Prodi: «A parte il merito di Sgarbi di istituzionalizzare la diversità del centro sociale riconoscendovi la produzione artistica, l’illegalità resta e va affrontata». Come? Risponde Marilena Adamo, coordinatrice dell’Unione: «In accordo con la proprietà. Unica soluzione perché quella di via Watteau non sia più un’okkupazione con la kappa. La Milano dei giovani si è aggregata attorno al Leoncavallo e al tavolo della prefettura si sta tentando la quadratura del cerchio». Operazione d’intesa fra Comune, Provincia e la società Brioschi proprietaria dell’Orologio, la spa che a sua volta possiede l’ex stamperia occupata dal settembre del 1994: «Undici anni dopo non è più il tempo di trattative che, in passato, hanno nascosto il tentativo di tirare per le lunghe e, poi, se la proprietà è d’accordo perché rompere le “palle”?».
Osservazione che giriamo ad Augusto Rocchi, ex segretario milanese di Rifondazione comunista e oggi parlamentare Prc: «Non capisco questa sinistra che vagheggia di colpi di spugna, che misura l’illegalità e che storce il naso all’uscita di Sgarbi.

È una sinistra che dovrebbe far riflettere».

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