Milano - È qui la festa del più autentico Milan, campione dei campioni con i suoi 16 trofei che brillano in una notte di maggio dentro il catino suggestivo di San Siro. È qui che si raduna il popolo rossonero per togliersi dalla schiena quella scimmia malefica della mortificazione, degli sfottò, dei 30 punti di ritardo dall’Inter, dei derbies puntualmente persi e dello scudetto che ha preso la strada di casa Moratti. Son diventati matti perché risalire la china e trionfare dopo aver toccato il fondo, è una sensazione unica, irripetibile: può provocare qualche giramento di testa. A questo Milan virtuoso e mai catturato dalla sindrome dei dispettucci e degli striscioni velenosi tradita da Ambrosini, ha scritto ieri una nobile lettera Michel Platini, presidente dell’Uefa stregato dal comportamento di squadra e tifosi nella finale di Atene. «Noi vorremmo congratularci con i vostri giocatori per la sportività con cui hanno rispettato i loro rivali dopo il fischio finale» la frase di Platini riferita alla scena dei rossoneri schierati tra due ali ad applaudire gli sconfitti del Liverpool sotto la tribuna d’onore.
È qui la festa se alle parole scolpite da Platini, si possono aggiungere le lodi di mezzo mondo dello sport, da Ronaldinho fino a Roger Federer, numero uno del tennis mondiale e grande appassionato di calcio. «Non sono tifoso del Milan ma è stato il giusto vincitore della Champions» la frase stregata dello svizzero direttamente dal Roland Garros. È sempre qui la festa più bella del Milan re d’Europa se Clarence Seedorf, in delirio per l’arrivo del figlio Denzel, sente il bisogno di alzare la voce per stroncare gli atti di vandalismo di giovedì sera, le mucche colorate realizzate per raccogliere fondi per i bambini dei Paesi poveri. «È una vera vergogna che la risorsa di speranza per altri significhi così poco per coloro che hanno così tanto» detta dal fondo del suo cuore. Il Milan più noto e più apprezzato si può riconoscere facilmente nell’ultima staffetta anticipata ieri da Adriano Galliani. «La maglia numero 3 di Paolo Maldini (martedì verrà operato al ginocchio, ndr) sarà destinata solo a suo figlio Christian» la dichiarazione che riannoda il cordone ombelicale del club agli eroi degli ultimi indimenticabili vent’anni di trionfi e successi.
Se poi, sul far della sera, a San Siro, ingresso praticamente gratuito, 1 euro da donare a fondazione Milan, si presentano in 50mila (che non si fanno scoraggiare neppure dalla pioggia che comincia a cadere dopo le 22), allora si può ricominciare tutto da capo. E poco importa se ogni tanto lo striscione avvelenato diventa un coro liberatorio. A Barcellona, nell’89, tutto il Camp Nou rese omaggio indirettamente al rivale per eccellenza Peppino Prisco. Teo Teocoli, uno dei reduci di Atene, finito sulla nave insieme con giornalisti ed ospiti, e Federica Fontana accompagnano tutti per mano a uno spettacolo da circo paesano, tra balletti e mangiatori di fuoco. A salvare le sorti dello spettacolo la magica esposizione delle sette coppe dei Campioni, accompagnate dai loro storici esponenti, Cesarone Maldini per la prima di Wembley e via via tutte le altre, di Madrid e di Vienna, di Manchester 2003 fino all’ultima. Gli striscioni degli ultrà sono tutti per Gattuso, il boato della folla per Ancelotti (nell’insolito ruolo di cantante) e Pippo Inzaghi che chiudono la rassegna della gloria milanista. Dal Milan schierato in parata solenne arriva un grazie gigantesco. Senza i settantamila che nell’agosto scorso si presentarono per il turno preliminare con la Stella Rossa, forse non ci sarebbe stato l’epilogo di Atene.
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