Da una nota dagenzia apprendiamo che ieri larcivescovo di Westminster, cardinale Cormac Murphy-OConnor, ha esortato in una lettera aperta i cattolici inglesi e gallesi a mangiare meno - specialmente nelle festività, ma non solo - in segno «di identificazione e solidarietà con i poveri».
Osserviamo che questa raccomandazione, accompagnata dallinvito a dedicarsi maggiormente alla preghiera e alle pratiche spirituali cade il sei di gennaio, allEpifania che, come si sa, «tutte le feste si porta via».
Il giorno canonico per questo genere di prediche sarebbe in realtà il ventitré di dicembre, quando i preliminari - cena aziendale, rentrée tra vecchi compagni, happy hour in palestra, pizzata con la scuola dei propri figli - sono conclusi, il cappone è in forno, e gli agnolotti sono tutti in fila sul panno, a meno che non ci si trovi in aeroporto in attesa del volo che ci porterà a passare il Natale al caldo. Di norma, si arriva all'antivigilia di Natale già provati. Quasi in tutte le chiese, i preti si scagliano contro il consumismo, cosa che tutti facciamo, lamentando lo stress da regali, anche se poi il nostro comportamento non cambia.
Il vecchio Cormac, invece, aspetta buono buono la fine dei bagordi per poi spiegare ai suoi diocesani che devono limitare i piaceri della buona tavola e pensare un po' anche i poveri. Ha lasciato che i suoi inglesi e gallesi si sfogassero ben bene, dopo di che: «Avete mangiato? Vi siete ingozzati? Adesso calmatevi un po' e pensate alla preghiera e ai poveri».
L'idea è buona: mai fare le raccomandazioni prima del peccato. Lasciate che pecchino, lasciateli agli insulti della bilancia, lasciate che si sentano dei vermi per le giornate vuote trascorse, una dopo l'altra, dal ventitré dicembre al sei gennaio: forse allora, se la parrocchia ha qualche emergenza sociale cui far fronte (e io non penso che esistano parrocchie completamente prive di emergenze sociali), potrà contare sui sensi di colpa dei ricchi parrocchiani.
Circoscritta a questo espediente, l'idea del vecchio Cormac è buona. Se fossi prete, lo dico francamente, non esiterei un solo istante a far leva sui sensi di colpa dei più benestanti per rastrellare qualche soldo utile alla vita della chiesa e al soccorso dei bisognosi. E se fosse necessario userei senza nessun falso pudore lo spauracchio dell'inferno, che in fondo non è uno spauracchio, perché l'inferno esiste eccome (e su questo punto di norma anche gli atei sono d'accordo: il disaccordo è solo sul «dove»).
Ma per il resto, che confusione! Siamo talmente confusi che anche un richiamo alla moderazione e alla spiritualità (di per sé sacrosante) rischia di trasformarsi in un ulteriore fattore di caos. Sembra che tutti, preti inclusi, facciano a gara per confondere le idee alla gente, che alla fine si domanda: ma allora, dobbiamo festeggiare o no?
La risposta più sinistra che possa esserci a questa domanda è: sì, festeggiate, ma non troppo. Circola l'idea che il cristiano sia, sostanzialmente, uno che non esagera, uno che vive col freno a mano tirato.
Ma Dio non ha affatto tirato il freno a mano, anzi, ha esagerato: si è fatto uomo: «Egli è tanto grande - ha detto il nostro Papa Benedetto XVI - da potersi permettere di diventare piccolissimo. Dio ha assunto un volto umano. Solo questo Dio ci salva dalla paura del mondo e dall'ansia di fronte al vuoto della propria esistenza».
Chi di noi non ha conosciuto la paura del mondo? Chi non ha conosciuto il vuoto della propria esistenza?
Nei festeggiamenti natalizi permane la memoria di questo evento inimmaginabile. Si sta a tavola, si sta insieme, ci si rivede, si litiga (è inevitabile), e tutto questo reca la memoria oscura della vittoria di Cristo, consumata nella Passione. Nella nostra cieca esistenza siamo ancora pieni di un'oscura memoria cristiana: ogni cena evoca l'Ultima Cena, ogni pennellata di rosso - anche nel più profano dei dipinti - evoca il sangue di Cristo.
Ma per toglierci dall'oscurità non serve l'invito a non esagerare, bensì a guardare cosa si sta festeggiando.
Perciò trattenersi è bene, ma festeggiare con gioia la vittoria di Cristo sul vuoto è molto meglio. La vita non è una questione di moderazione, ma di gioia.
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