Festival di Torino, il Caimano Moretti si ritira

da Roma

Aveva promesso, nella sua prima intervista da direttore artistico, «un festival serio ma allegro». Sono bastati due giorni di trambusto mediatico per guastargli la voglia di fare quel mestiere. A sorpresa Nanni Moretti molla il festival di Torino che lo aveva incoronato sovrano assoluto, salvatore, demiurgo. Un bel problema a sinistra, perché è all'interno dell'Unione che si sta consumando il dramma. State a sentire che cosa scrive il regista del Caimano in un messaggio lungamente sofferto, calibrato parola per parola: «Pensavo che la mia candidatura potesse aiutare un festival che ho sempre seguito e amato. Purtroppo, invece di semplificare, la mia presenza ha complicato le cose. Si è creata subito un'atmosfera di tensione, polemiche e accuse reciproche. Si è parlato di organizzare due festival concorrenti nella stessa città, qualcuno ha accennato a mancanza di etica, si è anche detto che io sarei stato lo strumento dei politici per soffocare l'indipendenza del festival (Roberto Silvestri, sul manifesto, ndr)».
Il j'accuse di Moretti è incalzante, a suo modo teatrale: «No, non ci siamo capiti. Forse mi avete confuso con qualcun altro. Io avrei messo con entusiasmo la mia faccia e il mio lavoro per sostenere un festival che seguo con piacere da tanti anni. Avrei voluto fare un festival condiviso da tutti coloro che amano il cinema, purtroppo però questa vicenda nasce male, c'è come un'ombra che non mi farebbe lavorare con gioia ed entusiasmo». Infine l'affondo, feroce: «E quindi con molto dolore, rinuncio all'incarico e vi lascio ai vostri problemi di metodo, ai contrasti procedurali, ai rancori personali».
«Ecce bomba», aveva titolato La Stampa l'altro giorno, plaudendo alla nomina di Moretti. Invece un'altra bomba stava per essere innescata. Lo riconosce, ancora sotto botta, Stefano Della Casa, ex direttore del festival e responsabile della Torino Film Commission. Insieme ad Alberto Barbera, direttore del Museo del cinema, ha pilotato l'operazione-Moretti, e adesso tutto sembra franare. «Spero che Nanni ci ripensi. Non c'è nessuna lotta intestina, sul suo nome sono tutti d'accordo. Solo una persona, “il barone rosso” (Gianni Rondolino, ndr), s'è messo di traverso. In ogni caso, a quest'ora della sera, il mio problema non è chi vince o chi perde, ma il danno che scaturisce da tutta la vicenda. Così il festival non si risolleva più. Avverto un cupio dissolvi dal quale nessuno si salverà». Dal suo punto di vista Rondolino, che sembrava un presidente isolato, l'ultimo giapponese, appeso all'idea di poter organizzare un festival antagonista, registra una parziale vittoria. Tanto da commentare così la notizia: «Mi spiace molto per Nanni Moretti, persona che stimo da sempre, ma probabilmente la sua candidatura non è nata nella maniera giusta». Il che significa: politici, riaprite il tavolo. La palla passa ora al sindaco Chiamparino, il quale si augura «che Moretti ci ripensi, perché il clima creatosi in città è estremamente favorevole, direi addirittura entusiastico. Se ciò non dovesse avvenire, sarebbe un segnale: dimostra che occorre superare certe baronie culturali torinesi che fanno solo del male alla città». E qui la frecciata è a Rondolino. Mentre a Moretti manda a dire: «Se bastano solo due interviste sui giornali per cambiare idea, non posso farci niente. Anche quando creiamo qualcosa di buono, riusciamo a farci del male da soli. In ogni caso c'è bisogno di innovazione e il prossimo Film festival lo organizzerà comunque il Museo del cinema». Cioè Barbera.
Si sgonfia dunque il blitz di sabato scorso, quando su quel nome illustre e indiscutibile Comune, Provincia, Regione, Fondazioni bancarie e ministero ai Beni culturali s'erano ritrovati uniti, pronti a trasferire 2 milioni e 200mila euro sulla nuova creatura. Anzi, rischia ora di trasformarsi in un boomerang micidiale. Con Veltroni e Rutelli, l'uno pro-Roma e l'altro pro-Venezia, che se la ridono dopo aver omaggiato, chissà quanto sinceramente, la scelta morettiana.

Di sicuro Moretti non ha gettato la spugna a causa dell'editoriale del manifesto, riflesso di una controversia anche personale, e però la sensazione di essere arrivato in quel posto nel modo sbagliato alla fine ha avuto la meglio sui consensi pur registrati. Del resto, proprio ieri il collega Bellocchio l'aveva avvisato: «Quello che Nanni ha accettato è un lavoro impegnativo, stancante, soprattutto per un regista ancora attivo come lui».

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