Quello sciatto pulloverino di Sergio Marchionne ha fatto fuori l’orologio sul polsino dell’Avvocato. La nuova Fiat mortifica e conclude così l’agnellismo. Furio Colombo ci ha ricordato la peggiore (anche se per lui sublime) battuta di Gianni Agnelli: «Anche la Fiat deve uscire dal nucleare. È impopolare, nessuno lo vuole, un’azienda come la nostra non può essere antipatica». Ecco. Finalmente la categoria imprenditoriale della simpatia è morta. Non è più, grazie al Cielo, il metro con cui giudicare un’impresa. Le aziende non sono simpatiche o antipatiche. Le aziende fanno utili o bruciano quattrini. Le scelte non possono essere solo simpatiche, debbono essere economicamente corrette. E la fine dell’agnellismo lacera la politica, soprattutto a sinistra, in quelle sacche conservatrici che ancora credono che il «salario sia una variabile indipendente». L’Avvocato ha costruito la sua fama sullo charme, sulla simpatia, sulla pettegola capacità di sapere e conoscere ciò che era giusto sapere e conoscere. È stato una favolosa icona di un’Italia democristiana che chiedeva di essere accettata e che voleva emergere. Più o meno quando Cristo si fermava ad Eboli, l’Avvocato comprava a Park avenue.
Ma Gianni Agnelli è stato anche uno dei peggiori virus del capitalismo all’italiana. Il simbolo dell’impresa che cercava di essere simpatica (talvolta), ma con i quattrini pubblici (sempre). Marchionne cancella l’agnellismo. È più americano dell’Avvocato, ma sembra un abruzzese. Il nuovo capo della Fiat ritiene che la regola d’oro sia fare quattrini (speriamo non occultandoli in Svizzera, come fece il suo illustre predecessore). Ci riuscirà? Questo è ancora tutto da vedere. Ma ci sta provando senza scorciatoie. Le fabbriche non sono il romantico parcheggio per far lavorare qualche mese un proprio discendente, sono macchine da far funzionare senza sbavature. La fine dell’agnellismo non poteva che avvenire a Mirafiori. Marchionne non merita di essere trattato (come sta avvenendo) come un moderno idolo del capitalismo italiano. Il numero uno della Fiat ha solo intenzione di fare il suo mestiere per cui è generosamente retribuito, e cioè vendere auto con profitto. Unica condizione per la quale un’impresa possa sopravvivere e dar lavoro.
Tutto il resto sono palle, anche se simpatiche.
L’amministratore della casa automobilistica torinese cerca di fare ciò che milioni di imprenditori, artigiani, commercianti fanno ogni mattina quando alzano la claire . Far girare la propria macchina in collaborazione con i propri dipendenti. Sperando che sindacati e Stato facciano il loro dovere: non un grammo in più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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