Fiat «rimbalza» e torna al buy-back

da Milano

Fiat torna a comprare le proprie azioni. Lo ha fatto ieri, dopo uno stop di quasi due mesi, nel giorno in cui il titolo ha rialzato la testa portandosi, con un più 3,05%, sopra i 16 euro (in Brasile la casa torinese ha confermato per il terzo anno la leadership nell’Auto). Il buy-back ha riguardato 6,1 milioni di azioni al prezzo medio unitario di 15,94 euro. Il precedente intervento risale al 21 novembre 2006. Ammonta così a 26,582 milioni il numero di azioni rientrate a Torino (2,4%), dal 5 aprile scorso quando è stato varato il piano, per un controvalore di 523,3 milioni. Le cadute in Borsa d’inizio anno del titolo, se da un lato hanno gettato qualche ombra sul Lingotto, dall’altro hanno giocato a favore della ripresa del buy-back, il cui termine è stato allungato al 30 aprile o, comunque, al raggiungimento del controvalore massimo di 1,4 miliardi di euro.
Il lungo stop al riacquisto di azioni era stato interpretato dagli analisti come un segnale di attesa da parte dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, pronto a sfruttare il momento più conveniente, a suo parere, per riprendere il buy-back. A Piazza Affari c’era anche chi scommetteva sulla pianificazione da parte di Marchionne di un’operazione con Tata (l’ad della Fiat, insieme al «delfino» Alfredo Altavilla, sbarcherà questa sera a New Delhi dove nei prossimi giorni incontrerà il socio e visiterà il Motor Show, ndr) in vista dell’imminente acquisizione, da parte indiana, di Jaguar e Land Rover. La necessità di avere a disposizione liquidità per questa presunta operazione, avrebbe spinto Marchionne alla prudenza. «Con lo scenario in peggioramento - spiega un analista - le aziende vedono a rischio la generazione di cassa e forti uscite per il riacquisto di azioni creerebbero non pochi squilibri. Le agenzie di rating sono molto attente a questo e non dimentichiamo che Fiat attende l’investment grade da S&P e Moody’s». Ciò non toglie che Marchionne ha deciso di rinunciare alla spartizione del 2,053% di Rcs messo in vendita da Unicredit (la stessa banca, tra l’altro, sta dismettendo la propria quota di Fiat, scesa del 5,2l% sotto il 2%). La prelazione riguarda i soci del patto di sindacato del gruppo editoriale. Ieri, intanto, il boccone amaro per Marchionne, nonostante il rimbalzo in Borsa, è arrivato da Goldman Sachs che pur mantenendo nei confronti di Fiat la raccomandazione buy, sostenendo che i fondamentali restano «intatti», ha tolto le azioni di Torino dalla convintion buy list: in assenza di indicazioni congiunturali incoraggianti, per la banca d’affari le prospettive di Fiat saranno insufficienti a incoraggiare gli acquisti. La recente caduta verticale del titolo, dopo il picco di 24 euro toccato in luglio, mantiene per ora il Lingotto, come capitalizzazione (scesa però sotto 20 miliardi di euro), davanti ai due colossi americani Gm e Ford (insieme valgono circa 17,95 miliardi di euro).
E mentre gli analisti concordano di attendersi dal cda del 24 gennaio «dati molto positivi sull’Auto e, soprattutto, i veicoli commerciali», da Stoccarda arrivano indiscrezioni secondo cui il flirt tra Mercedes e Fiat sarebbe giunto al capolinea.

I tedeschi, per lo sviluppo dei loro nuovi prodotti «medi», punterebbero sempre più su Bmw con cui già collaborano in tema di motorizzazioni alternative. Al gruppo di Monaco, in proposito, farebbe gola per il mercato Usa la tecnologia diesel Bluetech di Mercedes.

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