Finanza sostenibile

La via per lo sviluppo sostenibile passa dalla giustizia sociale

Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità ed ex Ministro della Coesione Territoriale, ci spiega come politiche sociali e scelte ambientali debbano andare di pari passo per un vero sviluppo sostenibile

La via per lo sviluppo sostenibile passa dalla giustizia sociale Esclusiva

Non c'è via che porti allo sviluppo sostenibile in campo ambientale senza passare da una seria riflessione sulla giustizia sociale. Parola del professor Fabrizio Barca, economista e statistico, coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità. Barca, 68 anni, ha alle spalle una lunga carriera nelle istituzioni in cui è arrivato ad essere dirigente di ricerca in Banca d’Italia, Capo Dipartimento della politica pubblica per lo sviluppo nel Ministero Economia e Finanze e Ministro della Coesione Territoriale nel governo Monti (2011-2013). Con lui IlGiornale.it discute di come una vera politica per lo sviluppo sostenibile debba guardare ai territori e al tema delle disuguaglianze e dell'equità intergenerazionale.

Professor Barca, negli ultimi tempi ci si accorge che non c’è discorso sulla sostenibilità che possa ignorare l’aspetto sociale, in politica economica come sul piano finanziario. Qual è la sua opinione a riguardo?

"La risposta l’ha data Amartya Sen nel Saggio sull’Ingiustizia, parlando di sviluppo sostanziale e sostenibile da conseguire attraverso una libertà sostanziale e sostenibile. La libertà sostanziale è quella che in Italia potremmo declinare come legata ai principi costituzionali, la garanzia di avere la possibilità di un pieno sviluppo della sua persona. La libertà sostenibile è invece la possibilità di farlo senza ridurre la libertà di chi verrà dopo".

Un patto intergenerazionale, ma non solo dunque…

"Si, è una forma più avanzata della vecchia definizione di sviluppo sostenibile che del resto rifletteva un contesto storico differente. In questo nuovo concetto ci sono diversi concetti, compreso quello del patto intergenerazionale, ma la questione principale oggi è il fatto che lo sviluppo sostenibile può passare solo attraverso una piena valorizzazione della persona umana come agente sociale ed economico. E questo passa ovviamente per un rapporto virtuoso con l’ecosistema che consenta a ogni libertà di valorizzare e non ridurre tutte le altre".

Questo ha anche a che fare con l’inclusività della crescita, che come Forum Disuguaglianze e Diversità mettete al centro delle vostre riflessioni?

"Sul piano pratico, pensando al solo esempio ambientale, è ormai acclarato che le prime vittime di pratiche insostenibili di sviluppo sono i più vulnerabili cittadini delle nostre società o coloro che abitano in quelle aree di mondo meno soggette a protezioni contro le conseguenze dei cambiamenti climatici. Le conseguenze di un rapporto squilibrato tra uomo e natura e dei danni all’ecosistema hanno inoltre, secondo molti studiosi, favorito il passaggio del Covid-19 dalla fauna alla popolazione".

Quindi i cittadini più vulnerabili sarebbero i primi interessati di politiche di sviluppo sostenibile sul fronte ambientale e sociale?

"Ovviamente per un’azione concreta di sviluppo sostenibile non basta spiegare alle fasce più vulnerabili che anche a loro convengono azioni concrete sulle politiche ambientali e sociali. La via per lo sviluppo sostenibile passa dalla giustizia sociale. Bisogna disegnare politiche ambientali che incorporino le conseguenze sulle disuguaglianze nel breve periodo: se la politica ambientale è disegnata male e finisce per gravare sui più vulnerabili non c’è argomento che tenga con loro, comprensibilmente".

Quali sarebbero le conseguenze più gravi in questi casi?

"Ciò che va evitato è il fatto che si crei una frattura tra questione ambientale e questioni sociali che produca un arresto nelle politiche per la sostenibilità".

Una tesi che del resto è simile a quella che promuove da tempo Papa Francesco

"Assolutamente: centrale nel discorso economico del pontefice è esattamente il tema dello sviluppo umano integrale".

Qual è l’impegno del Forum Disuguaglianze e Diversità per gestire tale sfida?

"Lavoriamo molto per tirare poi fuori proposte facendo lavorare figure e studiosi con sensibilità sociale con esperti di politiche ambientali. E abbiamo scoperto che le due risposte possono anche nel concreto viaggiare assieme già oggi per creare una politica ambientale attenta ai più vulnerabili per ricomporre, anche grazie all’intervento dello Stato, le fratture sociali. Chiudersi nella propria torre, specie trascurando le politiche sociali nella partita ambientale, è assolutamente controproducente. Serve ridare voce alla complessità della forza democratica, al conflitto di idee, alla dialettica, alle proposte concrete. E serve una pubblica amministrazione capace di esercitare discrezionalità".

Può fare alcuni esempi di politiche capaci di realizzare questo?

"La linea guida deve essere quella di promuovere politiche rivolte alle persone nei luoghi. Agendo sulla questione ambientale e sui problemi sociali nelle comunità e nei territori. Pensiamo alla sfida delle comunità energetiche: sono una proposta di sistema importante per unire le due partite e per superare i veti che hanno in passato ostacolato la risposta italiana alle sfide del presente. Sono un esempio di politica originale rivolta alle comunità capace di dare una risposta alla problematica del rallentamento della transizione dopo la grande corsa del primo decennio del secolo. Molti parlano di semplificazione ma la vera questione è il fatto che in passato molte decisioni riguardanti le politiche ambientali e la transizione, dall’eolico al fotovoltaico, hanno assegnato poteri di veto o scelte finali a gruppi di decisori in cui gli unici assenti erano le comunità dei cittadini".

In sostanza serve avvicinare processi decisionali e comunità e far sentire a ogni collettività i vantaggi sociali, economici e ambientali delle nuove politiche?

"Sì, non serve un Cesare che da Roma decide arbitrariamente e verticalmente decidendo ad esempio – cito un caso concreto – che si può stravolgere lo skyline del Parco del Supramonte con nuove pale eoliche. Sarebbe servito un coinvolgimento di cittadini e decisori locali, una presentazione dei vantaggi economici e sociali, un confronto col territorio delimitato nel tempo ma preciso negli obiettivi per capire i benefici locali e quelli collettivi. Nelle comunità energetiche vantaggi e eventuali svantaggi per ogni comunità sono adeguatamente soppesati, e gli ultimi attentamente compensati. Non si può accusare di essere Nimby o ostili a tutto dei cittadini a cui le decisioni su questi temi vengono calate dall’alto. La partecipazione è una dimensione importante della libertà sostanziale e può aiutare una questione ambientale a scoprire le ricadute sociali. Partecipare non è solo uno strumento, ma anche un presupposto della libertà umana".

Partecipare e conoscere per deliberare, parafrasando un noto detto…

"Proprio così: se i cittadini saranno chiamati a compartecipare a un dato processo su temi così importanti, inevitabilmente lo sentiranno sempre come loro".

A proposito di “Cesari”,lei parlò del peso giocato dalle disuguaglianze nella ricerca ossessiva di un leader che crea masse mobilitate più che politicizzate e ha condotto in certi contesti delicati a casi come l’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Il ritorno della politica serve anche a normalizzare questi rapporti?

"Bisogna tornare a pensare la politica nel suo complesso e ad avvicinarla ai cittadini per renderla più virtuosa. Il verticismo non può che essere mediato con la consapevolezza dell’importanza di ogni livello decisionale: pensiamo alla necessaria complementarietà tra sfera italiana e sfera europea in campi come la transizione stessa. La politica pubblica moderna dovrebbe seguire lo sperimentalismo democratico, essere un confronto diretto tra processi dal basso e decisioni dall’alto e governare politiche e cambiamenti in corso d’opera passaggio dopo passaggio. Consentendo un processo di aggiustamento e sistemazione permanente dei problemi in corso d’opera. Ovviamente, in campi come le politiche ambientali servirebbe un processo di valutazione delle decisioni che come Forum incentiviamo: perché una politica ambientale abbia un risvolto sociale, ad esempio, bisognerebbe valutare se per esempio un aumento delle rinnovabili porti con sé per i cittadini una riduzione della bolletta dell’elettricità.

Un ping-pong tra alto e basso che per quanto necessario da governare in continuazione può produrre risultati più efficienti".

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