"La fine violenta e tragica ha contribuito al suo mito e lo ha reso una icona pop"

Parla l'artista che ha realizzato un ciclo sul delitto dello scrittore: "Presto diverrà un vero monumento"

"La fine violenta e tragica ha contribuito al suo mito e lo ha reso una icona pop"

N icola Verlato è uno dei più importanti artisti italiani. Tra le sue opere c'è uno straordinario ciclo sulla morte di Pier Paolo Pasolini, realizzato con "linguaggi" diversi. Ne parliamo con lui.

Perché Pasolini e la sua morte?

"Ho cominciato a lavorare su Pasolini quando vivevo a Los Angeles. Mi interessavano i miti della modernità: James Dean, Madonna, Michael Jackson. Questi progetti integravano pittura, scultura e architettura. Ho pensato quale italiano avrebbe retto una simile resa artistica. Pasolini è stato scrittore, regista, giornalista. Però si è imposta anche la sua immagine. Era una pop star da un certo punto di vista. Il mito di Pasolini nasce all'interno del sistema dei media italiani. Poi però si alimenta dell'interesse e dell'affetto delle persone. Mi aveva colpito, soprattutto a Roma, una specie di pacificazione intorno a questa figura che era stata molto controversa, odiata e amata, in vita".

Che ruolo gioca nella creazione del mito, il delitto, e poi anche il suo corpo, il suo corpo straziato?

"Importantissimo. Le mitologie spesso nascono dalla morte prematura, dal sacrificio rituale, dalla forza di un'immagine. Ho apprezzato, da questo punto di vista, le opere di Giuseppe Zigaina. Espongono un punto di vista eterodosso e molto criticato ma interessante: ovvero la morte di Pasolini come sacrificio rituale ordito da Pasolini stesso. Non mi interessano invece le inchieste giornalistiche che cercano di rifare le inchieste giudiziarie. Non credo sia questo il punto".

E qual è?

"Zigaina ritrova negli scritti di Pasolini una serie di indizi davvero lunga e sconcertante. Ma pensiamo, ad esempio, a una figura come Mishima, sulla quale pure ho lavorato, e al suo suicidio rituale. Mishima ha scelto il modo in cui morire. Pasolini era altrettanto estremo. È lecito pensare che abbia voluto mettere in scena, indirettamente, la sua morte. Questa fine tragica ed esemplare incarna un archetipo narrativo, e Pasolini sapeva che la sua morte violenta avrebbe portato, per così dire, a una rinascita e a un inveramento della sua lezione. La morte è come il montaggio, diceva Pasolini. Dà significato e forma a ciò che prima era ambiguo. Con la mia opera ho cercato di inserirmi in questo processo".

Ma qual è la lezione di Pasolini?

"È il poeta a cui è stata sottratta la poesia e il suo potere".

Da chi?

"Da una società che capisce solo il consumo. Il sistema politico del tempo, che era quello borghese, chiamiamolo così, non permetteva più all'arte di essere uno dei fattori di costruzione della società e della città".

C'è un momento chiave?

"Secondo me, è l'intervista che Pasolini fece con Ezra Pound. È stato un confronto tra due persone diametralmente opposte in tutto, a partire dalla politica. Il momento rivelatore è quello in cui Pasolini legge parte dei Canti pisani, e poi dice a Pound: lei ha scritto versi bellissimi. Pound si schermisce e dice no, ho fallito, sono solo frammenti. Pound però, ammettendo il fallimento, è come se mantenesse la fiducia nella poesia. Pasolini invece la perde, e si avventura in altri media. La sua è una ricerca febbricitante di uno strumento espressivo che consenta di incidere profondamente nella realtà. Alla fine però si trova sconfitto. E disperato. In Salò, l'ultimo film, tutto è corrotto, tutto è marcio".

Qual è il canto letto da Pasolini?

"Quello meraviglioso che dice: strappa da te la vanità. Nel momento in cui il poeta strappa da sé la poesia cosa rimane? Rimane la vanità, la vanità di essere, di incarnare la promessa della poesia. Pound non ha strappato da sé la poesia e quindi invocava appunto di strappare da sé la vanità. Pasolini invece vive la disperazione del poeta tradito dalla realtà. Strappa la poesia, strappa la vanità. Non rimane che la disperazione. Pasolini forse si rammaricava. Aveva creduto nel fallimento della poesia, invece alla fine è lui stesso che ha, in qualche maniera, distrutto se stesso nella lontananza della poesia".

Pasolini fu anche pittore. Cosa ne pensa?

"Avevo un forte interesse verso le arti figurative, questo è noto. Le sue opere non credo abbiano troppa importanza. Invece c'è da riflettere sull'uso dell'immagine nel cinema. Era convinto, secondo me a torto, che il cinema fosse il nuovo affresco, la nuova pittura narrativa. È significativo che si sia rappresentato nei panni di Giotto nel Decameron. Voleva dire: oggi faccio il cinema che è come il ciclo di affreschi".

Nella sua opera pasoliniana ci sono molti riferimenti all'iconografia sacra per una morte così laica. Perché?

"Come abbiamo detto, l'opera e la morte di Pasolini sono intrisi di riferimenti, voluti o meno, al sacro e al sacrificio. Ho utilizzato un sacro di matrice cattolica. Ma credo che parte dell'iconografia cattolica sia molto più antica del cattolicesimo stesso. Insomma, volevo rappresentare il sacro tout court. Sono le forme del sacro che mi interessano più di ogni altra cosa. Lo scarto è insito nel fatto che noi siamo abituati a vedere queste forme nelle chiese, ovviamente. Invece io provo ad applicarle anche ad altri contesti e altri soggetti. Poi c'è il potenziale comunicativo: lo spettatore capisce immediatamente che l'opera ha a che fare con il sacro".

A parte il potenziale comunicativo, lei crede che l'arte possa raggiungere la verità?

"Assolutamente sì. Quelle forme si sono imposte perché contengono un principio di verità. Lo spirito abita il mondo, per me qui è la verità. E attraverso la forma lo si dimostra proprio. Quindi, secondo me, l'arte è uno dei modi per dire la verità".

Nel ciclo su Pasolini c'è qualcosa di politico?

"C'è qualcosa di politico nel rivendicare la forza dell'opera d'arte di nei luoghi dove sono successi degli eventi. Non solo dà forma a questi luoghi. L'opera d'arte, il monumento, difende il territorio dallo sfruttamento edilizio e dalla bruttezza. Crea la comunità".

Non ha pensato di installare il ciclo proprio a Ostia, dove morì Pasolini?

"Sono al lavoro con quattro architetti. Il mausoleo è già esistente, lavoreremo su quella base".

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