«Fini fa bene a condannare il fascismo»

«Fini fa bene a condannare il fascismo»

«L’ha detto chiaro e tondo lo stesso Gianfranco Fini: se lui fosse vissuto all’epoca del fascismo, sarebbe stato un rivoluzionario, si sarebbe schierato con gli antifascisti». Così Gianfranco Gadolla, attuale presidente provinciale di An e con un passato («che non ci penso neanche un po’ a rinnegare!») nel Movimento sociale italiano, ricorda la ferma posizione del leader del partito e presidente della Camera dei deputati a chi è stato colpito dai mal di pancia per le dichiarazioni di condanna del Ventennio.
Comunque, Gadolla, pare che siano tanti a essersi arrabbiati, in Alleanza nazionale.
«Certo, diciamo un buon 30 per cento. Ma il mondo va avanti non solo per condannare o recriminare per sempre».
Lei, invece, si riconosce perfettamente nelle parole di Fini.
«Senza se e senza ma. Condivido totalmente la sua impostazione. Anche se riconosco che è molto forte per chi ha il palato delicato e il cuore debole, e per chi è ancorato al pensiero cristallizzato».
Ma Fini, dicono, ha voluto cancellare la Storia.
«Niente affatto. È la Storia che cancella, non sono gli uomini a farlo».
Resta il fatto che le dichiarazioni del leader di An suonano come un’abiura clamorosa.
«Smentisco anche questo. Intendiamoci: il fascismo è nato con l’avallo del re, è stato per qualche giorno un movimento democratico, subito dopo è diventato una dittatura, ma una dittatura da tanti osannata in quanto condivisa».
Molto o poco condivisa?
«Be’, consideriamo pure che il fascismo dava risposte alle esigenze pratiche, ad esempio in tema di ordine, economia, infrastrutture stradali e ferroviarie. Dobbiamo pensare alla situazione degli anni Venti e Trenta. Con tutto ciò, ribadisco. il regime fascista è stato antidemocratico per definizione».
Da qui, la condanna.
«... una condanna che si estende, come sottolinea ancora Fini, all’antifascismo strumentale, un tormentone che alle vestali della libertà che stanno a sinistra serve per giustificare l’esistenza di organismi come l’Anpi, l’associazione dei partigiani».
Forse aveva un senso all’epoca del Msi.
«Neanche allora, a mio giudizio. Il Movimento sociale, che rappresenta il passato in cui mi ritrovo e di cui non mi vergogno, era un partito democratico, nato in ambito costituzionale.

Solo ai comunisti faceva comodo considerare antidemocratico l’Msi per giustificare l’esistenza dell’antifascismo».
Torniamo a oggi, alla svolta radicale di Fini.
«Nessuna svolta radicale. Il giudizio sul fascismo era già nelle tesi di Fiuggi. Chi se ne accorge oggi lo fa a torto e in ritardo».

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