RomaScrive di suo pugno riga per riga. Rivede, smussa per alcuni giorni il testo. Poi, in mattinata, legge il discorso. Lì per lì, nessuno prevede i suoi effetti. Lincipit, ad esempio, è in linea con quanto già a lungo, nel corso degli anni, condannato da Gianfranco Fini . «Rievochiamo oggi una pagina vergognosa della storia italiana», ricorda il presidente della Camera, visto che «le Leggi antiebraiche e razziste approvate nel 1938 hanno rappresentato uno dei momenti più bui nelle vicende del nostro popolo».
Fini è a Montecitorio, nella Sala della Regina, e prende la parola nel corso di un convegno, organizzato «per non dimenticare» gli orrori scaturiti da quanto emanato nel 1938. «Con la memoria di questa infamia dobbiamo fare i conti, dopo settantanni, come nazione e come cittadini», sottolinea la terza carica dello Stato, convinto che bisogna «farli senza infingimenti e senza ambiguità». Fini, però, va pure oltre. E poco più in là, afferma: «Lideologia fascista non spiega da sola linfamia delle leggi razziali». Un motivo per cui vale la pena chiedersi «perché la società italiana si sia adeguata, nel suo insieme, alla legislazione antiebraica e perché, salvo talune luminose eccezioni, non siano state registrate manifestazioni particolari di resistenza». «Nemmeno - aggiunge - da parte della Chiesa cattolica». È questo il passaggio chiave, che provoca subito reazioni a catena. Distinguo, critiche. Polemiche che per il diretto interessato, tornato sulla questione alcune ore più tardi, rappresentano «un brutto segnale di imbarbarimento della fase in cui ci troviamo».
Eppure, Fini aveva pure tentato di smorzare, spiegando che «a giustificazione potremmo addurre il carattere autoritario del regime, che certo non tollerava manifestazioni di esplicito dissenso». Detto questo, però «dovremmo anche riconoscere - puntualizza - che alla base della mancata reazione della popolazione ci furono altri elementi che può risultare scomodo riconoscere». Il presidente della Camera pensa così alla «propensione al conformismo», a una «possibile condivisione» dei pregiudizi e alla «vocazione allindifferenza».
Insomma, un discorso ad ampio respiro, che chiama in causa però pure il Vaticano. Una novità che mette in moto nuovi interrogativi, che si condensano così: «Perché Fini ha detto quello che ha detto?». Chi gli sta vicino non vuole sentir parlare di dietrologia, perché non ci sarebbe alcuna mossa segreta. Certo, qualcuno ricorda come da mesi Fini si stia impegnando sempre più per rimarcare il suo ruolo istituzionale super partes, ma il diretto interessato, intanto, rilancia: «Se dovessi riscrivere lintervento, lo riscriverei così come lho pronunciato». Nel suo staff non si aggiunge altro, anche se non si nasconde la «sorpresa» per alcune accese reazioni su «un fatto storico». «Dobbiamo mantenere sempre desta e vigile la coscienza dei cittadini», afferma ancora Fini, per «saper contrastare con efficacia lantisemitismo nelle vecchie e nuove forme ideologiche che questo oggi assume. Cè lantisemitismo esplicito dellestrema destra e del neonazismo. Cè quello mascherato da antisionismo dellestremismo no-global e dellultrasinistra».
Tra i commenti, giunge pure quello del presidente del Senato. «Certamente il giudizio di condanna senza riserve - scrive Renato Schifani - non si deve mai e per alcuna ragione considerare superfluo».
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