Politica

Fini processa An: «Basta correnti o cacciatemi»

Fabrizio de Feo

da Roma

Gianfranco Fini si toglie la giacca, si rimbocca le maniche, sale sul palco ed entra come un tir nella cristalleria delle correnti e delle sensibilità scoperte di Alleanza nazionale. Come dire che chi si aspettava una mediazione certosina, una attenta ricucitura degli strappi, l’annuncio della fine della sua «monarchia» e una abiura parziale della scelta referendaria è servito. Il presidente di An non rinnega nulla. Anzi, in quasi due ore di intervento davanti all’Assemblea nazionale del partito, rivendica in maniera secca, asciutta, a volte tagliente la sua gestione, puntando il dito, con un atto d’accusa senza precedenti, contro «lo spettacolo poco edificante messo in scena nelle ultime settimane» dai colonnelli.
Fini picchia duro cannoneggiando le correnti, «metastasi nel corpo del partito», ricorda che «An non significa anarchia», sposta il dibattito dal tema dell’identità all’orgoglio dell’azione di governo, difende la sua posizione sul referendum («non ho imposto la linea a nessuno»), mette in chiaro che An non è e non sarà mai «un partito confessionale». Quindi disegna la road map prossima ventura: conferenza programmatica in ottobre, congresso nell’autunno del 2006. Nel mezzo un sì alla Costituente del partito unico e la piena conferma della leadership di Berlusconi: «Non ho citato il premier perché la sua leadership non è in discussione».
Basta con le correnti, Matteoli all’organizzazione - «Se la mia relazione avrà la fiducia intendo governare il partito senza riconoscere le correnti», dice Fini, perché deve finire l’era di un partito «lacerato da lotte intestine, in perenne competizione tra dirigenti, in discussione con il leader, concentrato sul proprio ombelico senza vedere cosa accade intorno». Su questo punto Fini è chiarissimo, fino quasi a sfidare il partito alla conta interna perché «è meglio una legittima minoranza che una unità falsa e ipocrita». E il primo atto del superamento delle correnti Fini lo annuncia subito. Non ci sarà alcun segretario né coordinatore unico ma una sola nomina: Altero Matteoli all’organizzazione. E basta con gli incarichi tripartiti, i colonnelli «siano dirigenti di An, non capi corrente».
No a un’altra Fiuggi, sì all’orgoglio di governo - Il problema di An non è l’identità e sbaglia chi chiede una nuova Fiuggi. Perché per Fini «i valori di An sono sempre gli stessi, non abbiamo bisogno di dire chi siamo». Semmai, afferma, ciò di cui c’è bisogno è ritrovare l’orgoglio di un partito che per cinque anni ha governato l’Italia: «Il problema è una più orgogliosa rivendicazione di quello che abbiamo fatto». Cinque anni in cui «la destra c’è stata, ha pesato, ha inciso nella società». Orgoglio che coinvolge anche la coalizione, marcando la differenza con Follini: «Non dico che il bilancio del governo è stato magro». Anzi, insiste Fini, «dobbiamo contestare la tesi della sinistra che dice centrodestra uguale declino. Non è così, abbiamo evitato il tracollo». E poi sul partito unico: «Certamente dovrebbe essere un grande soggetto di centrodestra, e non di centro» che tuttavia può sempre costituirsi come «filiale italiana del Ppe» dato che in quest’ultimo militano ormai molti partiti della destra europea. Via libera anche alla proposta di varare un comitato costituente.
Il referendum non riguardava la sacralità della vita - Nessun passo indietro, da Gianfranco Fini, sul referendum: «Avevamo scelto la libertà di coscienza, e io non ho imposto la linea a nessuno». Anche perché era «un voto su alcuni aspetti di una legge, non sulla sacralità della vita». A giudizio di Fini, An «deve essere la sintesi tra il filone nazionale, cattolico e liberale. Deve saper parlare ai cattolici, ma non sarà mai un partito confessionale». Era doveroso - aggiunge - «lasciare libertà di coscienza. La destra deve essere plurale, aperta, ariosa, deve sapere parlare a tutti».
Avanti con l’assemblea programmatica e il congresso - Sono due gli appuntamenti che Gianfranco Fini scrive nell’agenda del partito: assemblea programmatica nell’autunno di quest’anno, ed esattamente un anno dopo il Congresso. Soprattutto in vista del primo appuntamento, Fini chiarisce: «Serve un momento programmatico più che identitario, una sorta di Stati Generali». Fini dice sì al progetto di un rassemblement di centrodestra. A condizione che non si tratti di «confluire al centro» o rinunciare ai valori identitari. In quel caso «diciamo no grazie». Anche perché, spiega Fini, An ha sempre creduto nel bipolarismo ma questo non significa «creare un centro alternativo alla sinistra» ma, al contrario, «un centrodestra alternativo al centrosinistra».
L’appello finale: non dividiamoci
Fini guarda al prossimo appuntamento elettorale. Fa una veloce autocritica sulla carenza di dialogo interno: «Finora abbiamo discusso poco. Convocherò una volta al mese la direzione e più frequentemente gli altri organi». E chiudendo l’intervento, ricorda alla platea che, a 11 mesi dal voto, «non è il momento delle divisioni».

E quindi «non chiedo la fiducia personale, chiedo al partito di avere fiducia in se stesso, di ricordarsi che è una forza di governo e continuare a esserlo, rivendicare ciò che ha fatto con orgoglio, credere in se stesso all’interno della Casa delle libertà».

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