«Fisco leggero e taglio dei tassi Così il Pil può crescere del 2%»

LO SCENARIO «Ci sarà un ordine economico internazionale più dinamico di oggi. A Germania e Cina il compito di stimolare gli altri Paesi»

Per far ripartire l’economia globale i Paesi in grado di farlo dovrebbero approvare un pacchetto di misure fiscali pari al 2% del prodotto nazionale lordo: una decisione in questo senso porterebbe, come risultato, una maggiore crescita del 2%. Dominique Strauss-Kahn, direttore generale del Fondo monetario internazionale, commenta con molto favore il «piano d’«azione» deciso nel summit del G20, esponendo la sua ricetta per la crescita. Un vertice «molto significativo», lo definisce, e non solo per la presenza di molti Paesi emergenti al tavolo delle decisioni globali. «Si sta sviluppando un nuovo ordine economico internazionale - osserva Strauss-Kahn - più dinamico e inclusivo rispetto all’attuale. Ma il meeting è stato significativo anche per le decisioni prese, e per l’impegno di tutti i partecipanti a portare avanti il piano d’azione vigorosamente e in pieno».
Il direttore generale del Fmi apprezza, in particolare, l’enfasi del comunicato finale sulle politiche fiscali e di bilancio, «essenziali per riportare il mondo verso la crescita economica». Alcuni Paesi, come la Cina o in Europa la Germania, hanno margini maggiori di altri per stimolare l’economia: spetta a loro fare di più. «Ma ovunque è possibile agire, bisogna farlo», esorta Strauss-Kahn. In questo quadro si colloca l’annuncio, fatto qui a Washington da Giulio Tremonti, di un pacchetto complessivo da 80 miliardi che il governo italiano varerà entro pochi giorni. Ed è inoltre essenziale far ripartire i negoziati commerciali del Wto: l’impegno preso dal G20 è di trovare un’intesa entro fine anno per concludere al più presto il Doha Round. Non manca un riferimento alla politica monetaria. Il calo dell’inflazione, sostiene Strauss-Kahn, consente alle banche centrali di ridurre ancora i tassi d’interesse.
Non tutti gli osservatori sono soddisfatti dell’esito del G20 come il direttore generale del Fmi. Lo stesso ex capo economista del Fondo, Simon Johnson, appare scettico. «L’unica differenza è che stavolta erano in venti anziché in otto - afferma l’economista del Mit - e, alla luce dei risultati, potevano anche mettersi d’accordo senza incontrarsi di persona». Mentre Ken Rogoff, oggi professore all’università di Harvard ma fino a qualche anno fa capo della ricerca economica del Fmi, osserva che nel documento finale del summit non appare alcun «mea culpa» da parte delle autorità politiche ed economiche mondiali. «Dopo aver rotto il vaso di porcellana, gli Stati Uniti potrebbero dare un contributo importante per ripararlo, una volta che Barack Obama sarà alla Casa Bianca», aggiunge Johnson. George Bush si è congedato dal palcoscenico internazionale ricordando a tutti di essere un «uomo di libero mercato», ostile agli eccessi di regolamentazione. L’atteggiamento di Obama sarà certamente diverso. Al prossimo summit del G20, forse a Londra in aprile, il neo presidente degli Stati Uniti porterà la sua visione dell’economia e della finanza globale nel ventunesimo secolo. Obama «è convinto che il vertice G20 rappresenti una grande opportunità per trovare una risposta coordinata alla crisi finanziaria globale», ha detto Madeleine Albright, l’ex segretario di Stato che, per conto del presidente eletto, ha incontrato quasi tutte le delegazioni presenti a Washington.
Per il momento, il vero, primo voto di gradimento agli impegni presi dal G20 verrà stamattina dai mercati finanziari. Le previsioni della vigilia sono tutt’altro che univoche. Alcuni analisti prevedono un iniziale rimbalzo positivo delle Borse, anche se presto gli operatori si concentreranno sui fondamentali delle società e sugli andamenti macroeconomici. Altri pensano ad una accoglienza tiepida, o addirittura negativa. Molto dipende da come evolverà la situazione di grandi gruppi industriali, come la General Motors, in grave difficoltà.

Per l’industria automobilistica americano è in arrivo un pacchetto di prestiti pubblici da 25 miliardi di dollari, in cambio di investimenti in nuovi modelli di vetture a basso consumo e ad emissioni ridotte. Ma Bush resta contrario ad utilizzare per le «big three», i giganti di Detroit, parte dei 700 miliardi del piano Paulson per il sostegno ai mercati finanziari.
GBB

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