"La fisica non coglie il mondo in sé"

La provocazione dello studioso Ulf Danielsson: "La nostra scienza è limitata. Serve un altro paradigma"

"La fisica non coglie il mondo in sé"

Ulf Danielsson è membro dell'Accademia Reale Svedese delle Scienze e insegna Fisica teorica all'Università di Uppsala. Ha scritto un saggio breve ma molto ambizioso, Il mondo in sé. La coscienza e il tutto nella fisica (Einaudi, pagg. 162, euro 19), in cui provoca i suoi colleghi, sostenendo che la scienza non comprenda affatto il mondo che crede di spiegare perfettamente...

Professor Danielsson, che cosa significa che, da fisico, «prende la vita seriamente»?

«I fisici hanno a che fare con i fondamenti della realtà, come l'origine dell'universo e i buchi neri, ma credo ci sia dell'altro. Il paradigma attuale include tutti gli organismi, intesi come macchine, e sostiene che la fisica sappia già tutto ciò che serve per descriverli: ecco, non è vero».

Perché?

«Ci sono moltissimi fenomeni fisici nascosti negli organismi viventi e, soprattutto, nella coscienza: anche i biologi si fidano troppo dei fisici e del loro paradigma. Non capiamo quanto siano complessi e profondi quegli organismi perché sottostimiamo le difficoltà di comprendere la materia vivente».

Per lei si parla solo e sempre di materia?

«Sì, non credo nel dualismo. C'è un universo materiale, unico, ma questi fenomeni sono molto più ricchi di quanto comprendiamo. Anche la coscienza è un fenomeno fisico, ma non possiamo comprenderla con ciò che sappiamo».

Quindi la scienza può occuparsi della coscienza?

«Alcuni sostengono che l'Intelligenza artificiale sarà cosciente, ma non lo credo minimamente. La scienza tende a escludere dalle sue definizioni i fenomeni fisici dietro la coscienza, questo senso di essere un soggetto che osserva il mondo, in due modi: o dicendo che la coscienza non esiste, che è un'illusione; o ricadendo nel dualismo e dicendo che non può descrivere il livello in cui esiste la coscienza».

Invece?

«Quello che io sostengo, che è inusuale, è che non sappiamo che cosa sia davvero la materia, e che cosa possa fare, ma una cosa che essa può fare è produrre la vita e la coscienza. Il problema è che non abbiamo una cornice per descrivere tutto ciò in termini scientifici. Non sappiamo come funziona il nostro cervello».

Siamo ignoranti?

«Siamo molto limitati nella nostra comprensione della Natura e di quello che possiamo fare. Diciamo che pecchiamo di hybris».

Che cosa ci servirebbe?

«Un cambio radicale di paradigma. Magari fra cento anni risolveremo alcuni di questi misteri o, perlomeno, ammetteremo che questa conoscenza limitata è lo stato delle cose».

Altrimenti?

«Altrimenti può succedere che qualcuno sostenga l'idea che le macchine possano avere degli obiettivi, una volontà e la possibilità di essere coscienti: il che è spazzatura ma, se hai una visione in cui sei convinto di comprendere appieno la materia, allora puoi essere tentato di concludere che il computer funzioni come il cervello umano... Solo che tutto ciò si basa su una incomprensione di ciò che sappiamo della materia. Invece, se capiamo che c'è una differenza fra i sistemi biologici e ciò che possiamo creare in laboratorio, evitiamo queste conclusioni oltraggiose. Questo è uno dei messaggi fondamentali del libro».

Che altro?

«Sottolineare la limitatezza di quello che conosciamo, come fisici: ci sono ancora molte domande fondamentali che dovremo porci in futuro. E capire che quelli attraverso cui interpretiamo il mondo sono modelli limitati».

Che significa?

«Molti confondono i modelli del mondo con il mondo in sé. Il legame fra reale e virtuale ci sta facendo perdere contatto col mondo di carne e sangue: non scorgiamo più le differenze... Molti confondono il modello matematico, prodotto dalla scienza, con il mondo stesso; ma il mondo reale, che include noi stessi, è, appunto, reale, di materia».

E i modelli?

«I modelli che usiamo per descriverlo sono strumenti, che cercano di imitare il mondo reale, ma non possono cogliere la verità nella sua interezza. Possiamo anche migliorare i modelli, ma non dovremmo mai giungere a identificarli col mondo».

Diceva che ci aspettano molte altre domande. Quali?

«Se guardo alla fisica, la teoria delle stringhe e l'origine dell'universo, e poi molte questioni di fisica fondamentale, sulla struttura interna dell'atomo: se riuscissimo a capirla davvero potremmo ricostruire tutto il resto, risalendo fino ai sistemi più complessi, compresi quelli viventi».

Come si può fare?

«Non prendendo le leggi della fisica e infilandole in un computer, con la convinzione che quest'ultimo capirà i segreti della vita. Le leggi della fisica non includono tutto ciò che serve per costruire l'universo e gli esseri viventi e i principi intricati da cui siamo governati. La fisica fondamentale ha molto da studiare, e da indagare, a proposito dei sistemi viventi. Anche questo è un punto di vista poco comune: molti pensano che la fisica non abbia nulla da imparare dalla biologia, ma si sbagliano».

Anche per quanto riguarda la coscienza?

«È chiaro che oggi dobbiamo uscire dalla fisica per comprendere la coscienza. Dal punto di vista biologico il cervello è totalmente diverso, ma i fondamenti del suo funzionamento, come quelli del sé, sono ignoti; c'è questa osservazione che io posso fare, del mio sé soggettivo, che è una prospettiva dall'interno, per descrivere la quale non c'è alcuna categoria in fisica».

C'è altro?

«C'è qualcosa, lì fuori, che dovremmo conoscere, ma che non riusciamo nemmeno a descrivere dal punto di vista della fisica. Non dico che sia soprannaturale, io dico che tutto è fisica. E dico che, anche se non lo comprendiamo, è parte di questo mondo; ma può essere anche che non lo comprenderemo mai, perché siamo limitati. Può essere che queste domande rimangano insolute per sempre».

Che vuol dire «tutto è fisica»?

«Due cose. Innanzitutto, per me non è affatto una forma di disincanto nei confronti del mondo, anzi: c'è un mondo e noi ne siamo parte, questo mondo è noi, con tutti i suoi fenomeni meravigliosi. E poi c'è l'invito, ottimistico, a cercare di capire di più di questo mondo di cui, in un certo senso, ho una visione quasi mistica».

Ci spieghi.

«Per me il mondo non è qualcosa di distante, da osservare in modo accademico, attraverso la matematica: è qualcosa che ha a che fare con i sensi, è una questione di vita e di morte, una questione esistenziale.

È qualcosa che ha a che vedere con la scienza, come con l'arte o con la religione: una domanda veramente profonda su noi stessi e sulla nostra relazione col mondo. L'universo è un mistero di cui noi siamo parte e, quindi, siamo anche noi creature misteriose. E tutto questo, per me, è eccitante e avventuroso».

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