L'allora arcivescovo di Udine li definì «un flagello di Dio». I Cosacchi arrivarono in Friuli alla fine dell'estate del 1944: qualche migliaio di soldati, molti accompagnati dalle famiglie. Erano comandati dal Generale Domanov, venivano in maggioranza dalla zona del Don ed erano fuggiti con le truppe tedesche in ritirata. Per qualche mese, fino al maggio del 1945, occuparono la Carnia e il nord della Regione, in un territorio a loro assegnato che i comandi nazisti avevano deciso di chiamare Kosakenland e con l'incarico di combattere le forze partigiane della zona. Distaccamenti di truppe furono stabiliti a Tarcento, Nimis, Faedis, Cividale, Gorizia. In pochi mesi seminarono il terrore: rastrellamenti, violenze, stupri.
Perseguitati da Stalin, con «purghe» costate circa 20mila morti, al momento delle scoppio delle ostilità i Cosacchi si erano divisi: molti erano rimasti fedeli alla madre patria russa, altri avevano deciso di combattere con i tedeschi sotto il comando del già citato Domanov e di un nobile baltico russificato, von Pannwitz. A mano a mano che le truppe alleate risalirono la Penisola, i reparti cosacchi cercarono una via di fuga verso nord. Giunti in Austria, non molto lontano dall'attuale confine italiano, si arresero alle truppe britanniche. Prima di rendere le armi gli uomini di Pannwitz sfilarono a cavallo di fronte al loro comandante, in quella che è considerata l'ultima parata della tradizione cosacca.
Gli inglesi decisero di rispettare gli accordi presi a Yalta con Stalin: tutti i prigionieri vennero restituiti ai russi.
Una scelta presa sotto costrizione: molti inglesi fatti prigionieri dai tedeschi erano stati liberati dalle truppe di Mosca. Il timore di Londra era che fossero usati come ostaggi. I cosacchi riconsegnati a Stalin non ebbero scampo: finirono tutti ammazzati o nei gulag.
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