Flaiano e Del Buono diventano superstar

Un giorno riscriveranno le antologie scolastiche di letteratura e... sorpresa! Al neorealismo sarà riservato un pugno di pagine. Finalmente troveranno spazio anche autori che si collocano fuori dalla sacra triade Pavese-Vittorini-Calvino nella quale troppo spesso si esaurisce lo studio del Novecento. Perché ciò accada è necessario che critica ed editoria allarghino almeno un po’ i propri interessi.
Diamo quindi il benvenuto a questi due pachidermi: il primo volume dell’Antimeridiano con romanzi e racconti di Oreste del Buono (Isbn, pagg. 1644, euro 69) e le Opere scelte di Ennio Flaiano (Adelphi, pagg. 1516, euro 70). Del Buono e Flaiano: due scrittori diversissimi fra loro, quasi agli antipodi, eppure accomunati da una sorte simile, come si desume dalle osservazioni dei numerosi curatori, pre e postfatori.
Nel caso di Oreste del Buono, osserva Ermanno Paccagnini, ha giocato un ruolo sfavorevole il suo «multiforme ingegno», considerato «un difetto agli occhi dell’accademia letteraria». Del Buono ha lavorato per decine di editori, occupandosi spesso di gialli, fumetti, pubblicità e tv in anni in cui tali interessi erano considerati di serie B (oggi invece sono sopravvalutati). Curioso quindi il suo destino. Mentre si guardava con simpatia alle sue attività «collaterali», l’opera letteraria è finita nel dimenticatoio o quasi.
Nel caso di Ennio Flaiano, oltre al difetto del «multiforme ingegno», c’è anche quello di essersi cimentato col genere satirico, ritenuto a torto «minore» negli anni in cui l’impegno politico era una coccarda al petto. Così il Flaiano narratore è messo tra parentesi, il più conosciuto resta quello di aforismi in effetti memorabili (uno per tutti: «Si battono per l’Idea, non avendone», dal Diario degli errori incluso nel tomo Adelphi). Eppure già l’editore Bompiani, negli anni Ottanta, aveva presentato un Flaiano a tutto tondo, con i due volumi delle Opere.
Entrambi, esordienti o quasi, si sono cimentati con un romanzo dedicato alla guerra. Del Buono con Racconto d’inverno e subito dopo, con esiti più convincenti, con La parte difficile (1947). Flaiano con Tempo di uccidere (1947). Per l’uno e per l’altro rimarranno episodi isolati, quasi un dazio da pagare all’ingresso del mondo delle lettere. È infatti il momento del neorealismo al quale però i nostri due concedono poco più che qualche somiglianza nell’ambientazione storica (la prigionia e il primissimo dopoguerra ne La parte difficile; la campagna d’Africa del 1935-36 nel Tempo di uccidere). Ma Del Buono mette in scena la totale disillusione: rientrato a Milano, l’ex militare protagonista della vicenda si ritrae in se stesso. Fuori ci sono i tedeschi in fuga, c’è il 25 aprile, c’è gente che spara, lui dorme tutto il giorno. Il dramma non è la guerra ma il «non sapere che uomo fossi». Il rimuginare inconcludente è la cifra dei personaggi di Del Buono: «Proprio sentivo qualcosa di torbido e cattivo muoversi dentro di me, un disgusto per qualsiasi cosa, per ogni parola, per ogni atto, per ognuno». Flaiano mette in scena l’inettitudine, il caso, la colpa; l’Africa rimane sullo sfondo e di eroico c’è nulla: il punto di partenza del romanzo è un mal di denti. I personaggi si «sgranchiscono l’anima» in quello «sgabuzzino delle porcherie» che è l’Africa Orientale, e cercano di autoassolversi per le enormità compiute.
Il neorealismo non potrebbe essere più distante. Vittorini stroncherà La parte difficile sull’ultimo numero del Politecnico: «Grigio, triste, noioso». Secondo il recensore, il libro aveva però il pregio di mostrare la crisi irreversibile della borghesia. Il resto dell’Antimeridiano porta alle estreme conseguenze le caratteristiche della Parte difficile. Le trame si assottigliano e si concentrano sull’impossibilità di comunicare tra uomo e donna, con poche varianti sul canovaccio fatto di marito fedifrago incapace di vivere fino in fondo sia il matrimonio sia l’adulterio. Tempo di uccidere sarà invece un successo editoriale anche grazie all’impegno di Leo Longanesi: quattro edizioni, Premio Strega, traduzione in numerose lingue. Buone le recensioni.

Ma subito dopo Flaiano mollerà il genere romanzo, per tornare alla misura breve del racconto, del diario, dell’aforisma condannandosi a non raccogliere quanto meriterebbe come scrittore. Ma tutto sommato meglio sia andata così.

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