Fo non ride, la sinistra nemmeno

Dario Fo è un grande giullare, nell’accezione più nobile del termine, e non riesco a volergliene nonostante il suo talento sia tarpato e svilito dal pregiudizio politico e dal livore ideologico. Sono fra i pochi italiani, probabilmente, che hanno visto un suo film dell’immediato dopoguerra. Fo in quella pellicola era uno stralunato giovanotto, con una fantastica giacca a quadretti, e appariva l’immagine vivente del candore e dell’ingenuità, con una patina di patetico che avrebbe dovuto testimoniare l’inadeguatezza ai tempi e alla storia. Adorabile e sconclusionato, melanconico. Fatico un po’a ritrovare quel Fo nel candidato oltranzista alle primarie del centrosinistra per il ruolo di sindaco. Non è più, ne sono certo, né ingenuo, né stralunato, né malinconico. Diamine, è un Nobel. Ma resta patetico. Questa sua campagna contro la candidatura dell’ex prefetto Bruno Ferrante ha qualcosa di triste e ridicolo insieme. Ma come? Il compagno Fo, che ha metabolizzato e giustificato furbate e porcherie della sinistra da cinquant’anni a questa parte, non riesce a capire la genialità strategica della candidatura di Ferrante? La sinistra può mondare tutti, anche i prefetti. Dire che Ferrante non è di sinistra è una scempiaggine storica: sono di sinistra tutti quelli che la sinistra dice essere di sinistra. E anche i Nobel si devono adeguare. Fo si agita e si scalda, ma non si ride. Quel che va in scena nella sinistra, nelle sinistre, non è una farsa, è un dramma.

È il dramma di una parte politica che a Milano non sa più cosa simulare per inscenare un accettabile canovaccio. Dario Fo si duole che il ruolo di primo attore sia stato assegnato a uno che non ha mai calcato le scene, anzi stava dietro le quinte come pompiere. Fo, intellettuale di sinistra, non ha coscienza del divenire storico.

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