Roma - La pace no. Semmai è una tregua, un armistizio dialettico, un disarmo bilaterale quello che a metà mattina il governo di Zagabria propone all’Italia. «Vogliamo rapporti sereni, è interesse comune sviluppare accordi di buon vicinato», dice il portavoce Ratko Macek, che rilancia pure l’idea di una commissione bilaterale sugli indennizzi di guerra. Blandi segnali di distensione, spazzati via solo poche ore dopo da un’altra pesante dichiarazione di Stipe Mesic. «Pacta sunt servanda - avverte il presidente croato -. Rimettere in discussione il trattato di pace del 1947 o l’accordo di Osimo è assolutamente inaccettabile. Vorrei anche ricordare che l’Italia non ha mai pagato le riparazioni di guerra, mentre noi siamo disposti a versare in qualsiasi momento quanto dobbiamo».
Dopo l’attacco a Napolitano, accusato di aver fatto un discorso «revanscista e razzista» sulle foibe, ora Mesic rovescia altra benzina: le colpe titine, incalza, non cancellano i crimini fascisti «e noi non possiamo essere dipinti come slavi sanguinari». La reazione italiana è dura. A Roma, Massimo D’Alema riceve l’ambasciatore Tomislav Vidosevic, convocato urgentemente alla Farnesina per fornire spiegazioni, e gli esprime «il dolore e lo stupore per delle frasi del tutto immotivate». Poi cancella il viaggio a Zagabria del sottosegretario Bobo Craxi, una visita che rientrava nella campagna per la scelta di Milano come sede dell’expo 2015. E dall’India interviene pure Romano Prodi, che telefona al premier Ivo Sanader e protesta per lo sgarbo commesso nei confronti nel nostro capo dello Stato. «Ho preso contatto con il primo ministro croato - racconta il Professore - per esprimere il nostro sdegno per queste parole assolutamente ingiustificate. Un colpo a sorpresa, che arriva dopo un periodo di piena collaborazione». Prodi ricorda quindi di essersi «personalmente speso» per avvicinare la Croazia all’Europa. Un ingresso ora molto più difficile, come sostiene anche Gianfranco Fini: «Le frasi di Mesic sono state un autogol perché un Paese entra nella Ue soprattutto se rispetta la verità storica, come ha fatto Napolitano. Ad essere indignati non siamo solo noi italiani, ma tutti i partner dell’Unione».
La telefonata di Prodi e la paura di perdere il tram europeo convincono il premier Sanader a tentare una ricucitura, proponendo la commissione mista per gli indennizzi e un miglioramento dei rapporti bilaterali, ferma restando però «l’indisponibilità» a ridiscutere i trattati firmati, cosa che peraltro Napolitano non ha mai detto. Piccole aperture del governo di Zagabria, che la seconda esternazione di Mesic ha subito vanificato.
La situazione adesso, dal punto di vista diplomatico, si è molto incartata. Dietro Napolitano, che nella giornata del ricordo aveva parlato «di congiura del silenzio» e di «odio e pulizia etnica tra il ’43 e il ’46 contro gli italiani di Dalmazia, Istria e Venezia Giulia», si è schierato sostanzialmente tutto il Paese. E mentre in Croazia qualche partito e qualche organo di stampa comincia a criticare le affermazioni di Stipe Mesic, dal giornale sloveno Dnevnik arrivano elogi «per il coraggio di Napolitano».
Franco Giordano, segretario del Prc, boccia «l’ingerenza croata». Controcorrente invece la posizione di Giulio Andreotti, che al Senato traccia l’elogio della realpolitik. «Parlare di lungo silenzio sulle foibe può essere un’espressione equivoca - dice - . Non rimanemmo zitti, noi abbiamo coscientemente evitato di fare di quell’argomento un motivo che dividesse.
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