«Il folle che ha ucciso mia moglie merita una punizione esemplare»

«Non so proprio come faremo ad andare avanti senza Emilou...Mia moglie era il fulcro della nostra famiglia. Quell’uomo ce l’ha portata via così violentemente e così all’improvviso che siamo spiazzati dal dolore, non riusciamo ancora a renderci conto che non la vedremo più, che non sarà qui in casa con noi. Speriamo che lo stato italiano possa dare una punizione esemplare a questo assassino. La pena giusta per me è l’ergastolo...Non posso pensare di trovarmelo ancora davanti, per strada. Mentre vive una vita serena che a me e ai miei ragazzi è stata negata ormai per sempre per colpa della sua follia».
Via Barrili 24, quartiere Stadera, ieri pomeriggio. Il minuscolo appartamento al secondo piano della scala C è invaso dalle candele accese in segno di cordoglio e il via vai di amici connazionali venuti da tutta Lombardia, è impressionante. Così come lascia sbalorditi la dignità e la pacatezza del dolore di Alfredo Verdad, 51 anni, il marito di Emilou Arvesu, la filippina 40enne massacrata di botte e uccisa venerdì su un marciapiede di viale Abruzzi da Oleg Fedchenko, un ucraino 25enne impazzito all’improvviso per ragioni ancora imperscrutabili. E ora rinchiuso a San Vittore con l’accusa di omicidio.
Alfredo - che con Emilou ha avuto due figli: Gian, 17 anni e Rasel, appena undicenne - è in Italia da 20 anni. Bell’uomo alto e dinoccolato, vestito sportivo, i capelli neri raccolti in un coda dietro la nuca, questo filippino di Laguna (dintorni di Manila) lavora in una grossa impresa di pulizie, la Ecoline srl. dov’è molto stimato. Si alza tutte le mattine alle 5, non torna a casa prima delle 21- 21.30. Davanti a noi il dolore traspare da ogni minimo movimento, la sofferenza è unìombra che lo segue ovunque, ma l’uomo non piange mai. Nemmeno una lacrima.
«Emilou la conobbi che ero arrivato a Milano da poco - racconta il signor Alfredo con uno sguardo perso nel vuoto del suo dolore -. Ci siamo innamorati e sposati quasi subito: i nostro è stato un vero colpo di fulmine. I nostri figli li abbiamo cresciuti secondo la nostra religione: siamo cristiani. Non abbiamo mai avuti crisi, problemi. Ci siamo sempre sentiti una famiglia fortunata, che lavorava in un paese straniero, ma dov’era ben accetta. Non abbiamo mai fatto stupidaggini, abbiamo rispettato la legge, ci siamo comportati correttamente. La mattina, dopo aver accompagnato i nostri figli dagli zii in viale Abruzzi, Emilou lavorava come collaboratrice domestica in due famiglie di piazza De Angeli. Le volevano bene tutti, non si poteva non amarla. Venerdì mattina ho saputo della tragedia da mio cognato. Sono corso al fatebenefratelli. I medici mi hanno detto che c’era il 50 per cento delle posibilità che potesse sopravvivere. Poi, più tardi, sono venuti a comunicarmi che le si era fermato il cuore. E, infine, che non ce l’aveva fatta».


«Adesso - conclude Alfredo Verdad - non appena il consolato filippino e l’autorità giudiziaria ce ne daranno la possibilità, presumibilmente tra mercoledì e venerdì prossimo, faremo trasportare la bara di mia moglie dall’obitorio di piazzale Gorini fino all’aeroporto. La voglio seppellire a Laguna».

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