Follini fa litigare anche la sinistra per la «battaglia dei seggi»

Dopo le offerte, smentite, di possibili patti di desistenza elettorale, crea imbarazzo l’ulteriore apertura di credito di alcuni esponenti dell’Unione nei confronti dei centristi

Follini fa litigare anche la sinistra per la «battaglia dei seggi»

da Roma

La variabile Udc scuote le fondamenta traballanti della Cdl, ma crea qualche agitazione anche nel centrosinistra. I cui principali esponenti fanno a gara da giorni a smentire e allontanare ogni ipotesi di dar sponda ai centristi della maggioranza.
Ieri è sceso in pista lo stesso Romano Prodi a dare l’altolà: «Noi facciamo il nostro programma, andiamo avanti con la nostra coalizione e quello che succede fuori dalla porta non ci deve interessare». Nessuna possibilità di accordi di desistenza con Casini e Follini, nel caso decidessero davvero di rompere con il centrodestra, cosa che a parere del Professore non accadrà: «In quattro anni abbiamo ascoltato mille volte dichiarazioni che non si trasformavano in niente di concreto. L’Udc ha condiviso tutte le grandi decisioni del governo. Oggi non possono dire: noi ci siamo sbagliati». Anche il Ds Gavino Angius è stato secco: se gli Udc fossero «coerenti» dovrebbero fare una sola mossa: «uscire dal governo». Aprendo così una crisi senza rimedio, che porterebbe quasi inevitabilmente a elezioni anticipate: «Questo sarebbe un atto di responsabilità di fronte al Paese», afferma, e a quel punto i centristi Cdl potrebbero ottenere un credito dall’Unione.
Boccia l’ipotesi desistenze il socialista Roberto Villetti: «L’Udc resterà nel centrodestra, non correrà il rischio di andare da sola. Anche perchè non troverà sponde da noi: la desistenza non conviene a nessuno, a cominciare dalla Margherita che punta ai voti centristi». Tutto rinviato a dopo le elezioni, insomma, perchè «se tra un paio d’anni il governo dell’Unione si troverà in difficoltà sull’economia, Casini potrà puntare ad inserirsi nella crisi, e a una Grande coalizione che metta all’angolo le ali estreme».
Nei giorni scorsi la smentita era toccata a Massimo D’Alema, indicato nel tam tam di Palazzo (anche da giornali considerati a lui vicini) come il principale ispiratore di un possibile patto di desistenza elettorale con l’Udc: «Considero questa ipotesi offensiva, innanzitutto verso Follini», che D’Alema «stima» non come potenziale alleato, ma come incarnazione di quel «centrodestra di cui il paese ha bisogno». D’altronde il presidente Ds è allenato a fronteggiare dubbi di «complottismo», e finisce sempre nella lista dei sospetti: in questa torrida estate di intercettazioni telefoniche e sotterranei scontri di potere era indicato da varie parti come uno dei tessitori del «grande inciucio» con Berlusconi sugli assetti economoci post-elettorali, ai Ds Bnl e al premier che dice addio alla politica una bella fetta di affari nell’Italia di centrosinistra, magari in condominio con l’ingegner De Benedetti. Fantapolitica? Probabile, ma molti ci si sono divertiti o preoccupati, e sta di fatto che l’accordo col patron di Repubblica è stato a un certo punto stoppato. Oggi D’Alema punta alla presidenza della Camera nella prossima legislatura, e qualcuno ha letto (anche) come una frecciatina a lui l’avance di Walter Veltroni: «Che ci sarebbe di male se, archiviato il berlusconismo, la presidenza di un ramo del Parlamento fosse data all’opposizione?», si è chiesto (pensando a Casini, assicurano i più) il sindaco di Roma nell’intervistona a Repubblica con la quale si è oculatamente rimesso al centro del dibattito nell’Unione, disegnando scenari futuri di partitoni democratici che hanno ottenuto il plauso di Rutelli e costretto Prodi alla rincorsa («Anch’io continuo a pensare all’Ulivo mondiale»). Per il momento, in verità, l’organigramma dell’Unione sembra già in gran parte scritto, e ieri il solito Mastella lo ha reso pubblico: «Prodi sarà il premier, Amato andrà al Quirinale, D’Alema alla presidenza della Camera e Marini a quella del Senato. Fassino avrà gli Esteri, Rutelli gli Interni».

E io?, pare dire il leader Udeur, che si dice punti al ministero della Difesa, che assicura visibilità e potere ma non lega troppo le mani politicamente a chi attende il rimescolamento centrista. Ma la rottura dell’Udc con la Cdl, o la sua vittoria sulla leadership, con un’anticipata uscita di scena di Berlusconi, «riaprirebbe tutto», nota il Ds Caldarola. E molti nell’Unione temono questo scenario.

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