Una Fondazione ai Cabassi per salvare il Leoncavallo

Il Comune lavora a un piano: alla famiglia via libera alla realizzazione di un museo d’arte in via Palestro in cambio di una linea più morbida con i no global

Ennesima notifica di sgombero in arrivo per il centro sociale Leoncavallo: notifica prevista per giovedì che, molto probabilmente, consisterà in un pezzo di carta con la data del prossimo rinvio. La questione, però, sembra essere ancora in stallo come si legge nel comunicato pubblicato sul sito del centro sociale: «Nonostante le dichiarazioni di impegno dei pubblici amministratori, che si sono impegnati con noi per la soluzione di questa vertenza, nulla si è mosso su questo fronte, mentre d’altro canto numerosi sono i segnali di un progressivo restringimento delle libertà». Mentre tra via Watteau e palazzo Marino fervono le trattative per arrivare alla conclusione di una vicenda lunga ormai trent’anni, che questa amministrazione, nella persona dell’assessore al tempo libero Giovanni Terzi, si è proposta di risolvere definitivamente, un’altra questione Cabassi sul tavolo del sindaco.
In via Palestro 6 si trova infatti, dietro un muro e un cancello arrugginito, un parco abbandonato e degradato della famiglia Cabassi, proprietaria anche dell’immobile occupato dagli autonomi del Leoncavallo. I Cabassi avrebbero pensato a una destinazione diversa dall’ammasso di erbacce e cespugli che sorgono sull’area: una fondazione per l’arte contemporanea dedicata al padre, il cui progetto è stato affidato a un pluripremiato architetto che ha già disegnato l’edificio.
L’unico ostacolo, alto per la verità come l’Everest, che si frappone tra la volontà dei Cabassi e la realizzazione di un progetto già disegnato, il vincolo di tutela monumentale che vige sul giardino dal 1923. Sulla delicatissima vicenda, in cui si inserisce anche il condominio adiacente, al civico 4, che avrebbe messo gli occhi sul giardino, comodo parcheggio per chi vive in centro, vigila il più stretto riserbo.
Il sovrintendente per i Beni Architettonici, Alberto Artioli non si pronuncia: «Non è arrivata nessuna richiesta ufficiale, comunque dobbiamo esaminare “le carte“, operazione che richiederà molto tempo. Non me la sento di rispondere adesso». Dagli uffici della sovrintendenza, invece, un secco no arriva senza esitazioni: «al momento non abbiamo nessuna intenzione di togliere il vincolo».
Bocche cucite anche a Palazzo Marino: l’assessore allo Sviluppo del Territorio, Carlo Masseroli, non rilascia alcun commento, mentre sembra che il sindaco si sia impegnato in prima persona per trovare una soluzione che accontenti tutti, come sta cercando di fare per la spinosissima questione del Leoncavallo, resa possibile grazie alla indispensabile collaborazione della famiglia Cabassi.
Diversa la reazione di Vittorio Sgarbi, assessore alla Cultura, che ha una posizione più conciliante: «I Cabassi vorrebbero realizzare un museo per l’arte contemporanea al posto di un giardino abbandonato, penso che sia da tenere in considerazione l’interesse pubblico dell’operazione. Il progetto, però, andrebbe sicuramente modificato: intanto penso che non sia opportuno abbattere il muro di recinzione del giardino che dà sulla strada. Modificando i disegni, però, si potrebbe arrivare a un edificio, immerso nel verde, che dialoghi con il parco circostante esattamente come accade per il Pac.

La mia proposta - continua Sgarbi - infatti, era quella di considerare la fondazione Cabassi come un secondo Pac, cioè come spazio espositivo temporaneo dedicato all’arte contemporanea». Su tutta la vicenda pesa, come una spada di Damocle, la parola della sovrintendenza.

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