Fragalà, l’onorevole detective sulle tracce degli stragisti rossi

Deputato di An, ex missino della scuola di Romualdi, il penalista di Palermo ha fatto parte delle più importanti commissioni parlamentari di inchiesta

D opo avermi accolto con amabilità palermitana, «lei è il mio giornalista preferito», «indimenticabile quel suo articolo», l’on. Enzo Fragalà di An dà il via alla cosiddetta intervista in pubblico. È un sofisticato genere di intervista che si distingue dal banale colloquio a quattr’occhi per l’interazione nell’evento di diversi soggetti. Fragalà siede nel centro geometrico del suo ufficio, il cronista di fronte, il simpatico portavoce sulla sinistra, la graziosa collaboratrice al computer, mentre un flusso di commessi e commesse, favorito dall’accorgimento di tenere la porta spalancata, ravviva l’atmosfera con pacchi, plichi, annunci e chiacchiericci vari.
«È evidente che lei ama brezze marine e vasti orizzonti», dico alludendo ai quattro venti a cui siamo esposti.
«Amo il mare e vivo a Palermo, la greca Panormos, la città dai molti approdi, che ha il mare più bello del mondo», dice Fragalà con dottrina.
«Ha una villa liberty sul mare di Mondello. È un riccone?».
«Amo il liberty per scelta culturale, prima che logistica. Il progetto della mia villa è di Salvatore Caronia Roberti, allievo di Ernesto Basile, architetto principe del liberty. Non sono ricco, ma fortunato per avere potuto fare una scelta culturale anziché orientarmi su una Casa Bianca con colonne e piscina. La mia villa non supera i 200 metri quadrati», risponde con dignità e garbo, accentuati da un blazer blu con bottoni d’oro al cui confronto il celebrato blazer di Claudio Martelli è un fondo di magazzino.
«Ha la barca sotto casa ed è socio del Club Velico. È per caso uno snob?», tanto per sapere.
«Non è snobismo, ma passione per la vela», risponde paziente, mentre uno dei peripatetici gli porge un foglio. Fragalà inforca dei pince nez che tiene appesi al collo con una cordicella. Sono occhiali senza stanghette. Segue una lettura eroica, con le lenti che sdrucciolano di continuo dal naso. A parte l’apprensione che suscita, trovo buono l’effetto complessivo. Scomodi in alto mare per chinarsi sui Portolani, nell’attuale situazione i pince nez danno notevole autorevolezza all’onorevole.
«È stato un picchiatore?», chiedo. Fragalà mi guarda interrogativo e gli occhiali cadono. «Era missino. La domanda è pertinente», spiego.
«Anche da missino ero liberale. Vengo dalla scuola di Pino Romualdi, la destra europea da cui è germogliata An. Mai stato picchiatore. Piuttosto picchiato dagli avversari di sinistra che anche allora usavano la violenza».
«Alcuni di allora li ha rincontrati dopo?».
«Più volte il mio antagonista di gioventù, Vincenzo Gallo, in arte Vincino. Capeggiava il Movimento studentesco».
«Penalista noto a Palermo, difende anche pesci piccoli. È un benefattore?», chiedo, continuando il periplo su Fragalà.
«Sono avvocato vero. Accetto tutti gli incarichi, a prescindere dal reato e dalla persona. Sono stato con le vittime e con gli imputati. Dai colletti bianchi ai microcriminali».
«Lei è celebre tra i cronisti parlamentari per il profluvio di dichiarazioni sull’universo. È tuttologo?».
«Ho imparato da Marco Taradash, entrando alla Camera nel 1994. Mi ha detto: “Manda dieci dichiarazioni il giorno ben fatte, perché i giornalisti sono pigri e non vogliono rimetterci le mani. Prima te ne pubblicheranno poche, poi tutte e verranno anche a cercarti perché sarai diventato indispensabile”. L’ho fatto e mi cercano molto. Ma non come tuttologo, mi occupo e dichiaro solo su giustizia e sicurezza pubblica», dice parlando con calma come se dettasse.
«Cos’è quel distintivo a tre punte tricolori sul bavero?», mi impiccio.
«Il simbolo di An. In origine delle Frecce Tricolori. Lo mise Fini in omaggio al suo amico comandante della pattuglia acrobatica morto nella tragedia di Ramstein dell’88. Poi, l’abbiamo adottato tutti».
«Ha sempre fatto parte di Commissioni parlamentari d’indagine, Stragi, Mitrokhin, ecc. È un segugio?»
«Trasposizione dell’attività di avvocato, la quale ha notevoli risvolti investigativi».
«Insegna Storia contemporanea nell’Ateneo di Palermo. Un bluff o ha fior di pubblicazioni?»
«Ho vinto il concorso di assistente ordinario. Anche qui, è l’amore per l’indagine e gli archivi che mi spinge. Ho studiato Risorgimento e banditismo nel Sud. Ho scritto un saggio a quattro mani su mafia e politica».
«Vanno a braccetto?»
«La mafia è la sola criminalità che non nasce dal bisogno, ma per il potere, perciò coinvolge la classe dirigente. 'Ndrangheta e camorra derivano invece solo da disagio sociale», sale in cattedra il prof Fragalà che, imperturbabile come un lupo di mare agli andirivieni nel suo ufficio, si dispone all’intervista a gambe accavallate.
Delle stragi degli anni ’70 che idea si è fatto?
«Siamo stati vittime di una strategia dell’Urss. Voleva in ginocchio i Paesi Nato per invadere l’Europa. Il piano è noto nei dettagli».
Dia un esempio.
«La strage del treno 904, il 23 dicembre 1984. Ebbe l’ergastolo il deputato del Msi, Abbatangelo, e fu accusato il capoclan Pippo Calò. Da un documento della Stasi sappiamo invece che responsabile è il famigerato Carlos, diretto da Mosca e finanziato da Gheddafi, cointeressati a indebolire Italia e Occidente».
La strage della Stazione di Bologna nell’80, è definitivamente attribuita a neofascisti.
«La Commissione Mitrokhin, sulla base di documenti dell’Est, ha fatto riaprire l’indagine. Anche qui, le ricerche portano alla banda Carlos».
I risultati più tangibili del Dossier Mitrokhin?
«Il primo, che il sequestro Moro fu diretto dal Kgb sovietico. L’altro, che con Alì Agca quando sparò al Papa in San Pietro, c’era Antonov dei servizi bulgari legati a Mosca».
Perché la magistratura ha accusato innocenti?
«L’ideologia dei giudici ha falsato alcuni processi. Per la strage di Bologna le riunioni di Pm e avvocati delle vittime per stabilire le strategie, si svolgevano nella Federazione del Pci. Un legale di parte civile, Montorsi, si dimise per protesta».
Le accuse a Fassino, Prodi e Dini per Telekom Serbia sono finite nel nulla.
«Invece di stigmatizzare un pessimo affare per l’Italia, si è cercata una tangente difficile da provare. La suggestione del colpo giudiziario contro Mortadella, Cicogna e Rospo ha travolto la commissione».
In An, tira una strana aria. È scappato Domenico Fischella, fondatore di An.
«Doloroso. Fisichella è stato di destra quando era difficile esserlo. Coerente, al di là dell’opportunità. Ora, a sinistra, avrà disagi e disgusti molto maggiori».
Accusa la Cdl di «dilettantismo e avventurismo».
«Affermazione polemica e infondata, se è vero che Fisichella se n’è andato per la devoluzione. Da politologo, sapeva quanto fosse necessaria per correggere la mostruosa riforma con cui la sinistra aveva regionalizzato l’Italia».
Via pure Publio Fiori.
«Se insiste, sbotto».
Sbotti.
«Se i sondaggi ci avessero dati vincenti, né Fisichella, né Fiori sarebbero andati via. Tipica fuga dalla nave che affonda. Passi, farlo a inizio carriera, ma in due settantenni è poco nobile».
Se invece di spegnere termosifoni ci si battesse per ripristinare il nucleare, non sarebbe meglio?
«Se vinceremo, lo faremo senz’altro».
Il Cav si mostra ottimista per le elezioni.
«Con ragione. Le ultime sconfitte Cdl non sono dovute ad aumento di voti della sinistra, ma dall’astensione dei nostri disgustati dalle risse provocate da Follini per darsi visibilità. Ora ci rivoteranno».
Il Cav ha fatto il suo tempo?
«Senza il Cav, la Cdl non avrebbe nessuna possibilità di vincere».
Che pensa del Cav?
«Ha una marcia in più, umanità e simpatia che ne fanno il leader. I moderati gli sono grati per avere impedito a Scalfaro di dare l’Italia ai comunisti».
Le piace la campagna elettorale all’arrembaggio del Cav?
«Moltissimo. Svela all’opinione pubblica ciò che la stampa unionista nasconde come polvere sotto il tappeto. Il caso Unipol fa capire che il vero partito azienda in Italia sono i Ds».
In tv con Casini, D’Alema ha urlato che se la Cdl candida l’inquisito Cuffaro, Consorte si è dimesso per un semplice avviso.
«Consorte è un impiegato di D’Alema e Fassino. Se mette nei guai i capi, gli danno gli otto giorni. Casini non può licenziare Cuffaro, che è stato eletto, quindi applica la regola in dubio pro reo».
L’ex procuratore di Palermo, Grasso, ha sconsigliato di candidare inquisiti di mafia.
«Grasso è stato inascoltato perché i precedenti gli sono contro: i processi di Palermo, Musotto, Mannino, Andreotti, Carnevale, Contrada, si sono rivelati bluff giudiziari contro innocenti».
Che pensa di Prodi?
«Espressione di quei boiardi di Stato che hanno distrutto l’economia italiana, quando i privati socializzavano le perdite e privatizzavano i profitti».


Se Prodi vince, lei prende la barca e se ne va?
«Se vince, durerà un anno. Quindi niente barca, ma in trincea nell’attesa di riparare i danni. Vorrei fare una precisazione...».
Dica.
«Lei insiste a dire che ho una barca. Invece, ho un canotto».

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