Alberto Toscano
da Parigi
Ironia della sorte, la lezione del professor Chirac - secondo cui la Francia non ha nulla da imparare in tema di apertura dei mercati - trova un’implicita smentita proprio sulle colonne del giornale più vicino al presidente della Repubblica: Le Figaro, secondo cui «i francesi sono i soli al mondo a rifiutare l’economia di mercato». Sotto questo titolo, che costituisce un vero e proprio campanello d’allarme nell’epoca della globalizzazione dei mercati, il quotidiano parigino riferisce che «per tentare di rimediare a questa eccezione francese l’Institut de l’entreprise lancia un sito Web allo scopo di sensibilizzare il pubblico ai grandi traguardi economici». Parlando l’altroieri a Bruxelles, al termine del vertice dell’Unione europea, Jacques Chirac se l’era presa con tutti coloro che accusano la Francia di «patriottismo economico», di protezionismo e di chiusure all’economia di mercato. Adesso il Figaro spiega per filo e per segno che le radici di certi atteggiamenti nazionalistici e statalisti sono profonde perché riflettono una mentalità assai diffusa nel Paese. Al punto che il «rifiuto del capitalismo» da parte dell’opinione pubblica transalpina costituisce una sorta di «eccezione francese».
L’analisi del Figaro si basa su un sondaggio realizzato la scorsa estate dall’istituto demoscopico GlobeScan per conto dell’Università del Maryland: in ognuno dei venti Paesi presi in considerazione è stato consultato un campione rappresentativo di mille persone. La domanda è semplicissima: «Pensa che il sistema della libera impresa e dell’economia di mercato sia il migliore per l’avvenire?». In cinque Paesi (che costituiscono da soli la metà del genere umano) la vittoria dei sì è schiacciante, ossia superiore al 70 per cento: Cina (74 per cento), Filippine (73), Stati Uniti (71), Corea del Sud e India (70). L’India ha anche il record assoluto del minor livello di risposte negative alla fatidica domanda: appena il 17 per cento. In Germania ha risposto sì il 65 per cento della popolazione e no il 32 per cento. In Italia (al quattordicesimo posto per fiducia nell’economia di mercato) i sì sono al 59 per cento e i no al 31 per cento.
All’ultimo posto c’è la Francia, unico Paese in cui il numero dei nemici del capitalismo supera quello di chi ha fiducia nel mercato e nell’apertura economica. In Francia i sì sono appena il 36 per cento e i no addirittura il 50 per cento. «Non è possibile trovare al mondo cittadini più refrattari dei francesi all’economia di mercato e alla libera impresa», è la mesta constatazione del Figaro.
Quando il primo ministro francese Dominique de Villepin - un fedelissimo del presidente Chirac, profondamente convinto delle virtù taumaturgiche del «patriottismo economico» - interviene a gamba tesa per sbarrare all’Enel la strada di un’Opa su Suez - emerge nel comportamento delle autorità politiche di Parigi un chiaro desiderio di respingere operazioni che sarebbero plausibili in molti altri Paesi industrializzati. Ma il «modello francese» si considera diverso proprio per la sua particolare fiducia nell’intervento dei pubblici poteri in economia, nella cultura e in tanti altri settori.
C’è però un elemento che Villepin sembra aver trascurato: nell’Europa del XXI secolo chi di statalismo ferisce di statalismo rischia di perire. L’intervento anti-Enel del primo ministro francese, sostenuto dal presidente Chirac con la sua polemica conferenza stampa dell’altroieri, si basa sull’idea di fondere Suez col gruppo pubblico Gaz de France (Gdf) allo scopo di neutralizzare la possibile mossa di Enel.
Per realizzare la fusione, il governo deve abbassare la quota pubblica in Gdf dall’attuale 80 al 34 per cento, circostanza che viene ostacolata in tutti i modi dai sindacati francesi proprio nel nome del rifiuto delle privatizzazioni. Insomma Villepin rischia di essere messo in crisi da chi è ancor più statalista di lui: i sindacati francesi.
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