In Francia crescono le perplessità sulla fusione

Si prepara una battaglia in Parlamento. I dubbi sulla posizione del finanziere belga Albert Frère

Alberto Toscano

da Parigi

Le assemblee generali dei gruppi Suez e Gaz de France (Gdf), destinate ad approvare la fusione tra loro, non si svolgeranno prima di dicembre. Lo ammettono a denti stretti il presidente di Suez, Gérard Mestrallet, e di Gdf, Jean-François Cirelli, in una conferenza stampa comune, convocata per «ringraziare il governo d’aver autorizzato la fusione». In realtà il governo francese ha architettato, organizzato e deciso in prima persona quella fusione, indipendentemente dal fatto che uno dei due gruppi in essa coinvolti, Suez, sia privato. Per il primo ministro Dominique de Villepin, braccio destro del presidente Jacques Chirac e teorizzatore del «patriottismo economico», l’importante era sbarrare la strada a una possibile Opa di Enel sul capitale Suez: così sono stati accelerati i tempi di un’operazione rivelatasi approssimativa e precipitosa. Al tempo stesso Villepin ha preso a pretesto l’ipotetico «attacco» italiano a Suez per privatizzare Gdf, nel cui capitale la quota pubblica è oggi dell’80,2 per cento, mentre alla fine - nella società derivante dalla fusione con Suez - sarà del 35 per cento. Ieri Villepin è stato attaccato in Parlamento dai deputati dell’opposizione. Il socialista Eric Besson lo ha interrogato sul senso di un’operazione finanziaria tanto confusa. Il primo ministro ha dovuto ammettere che la discussione sarà lunga, visto che il Parlamento dovrà votare (in autunno) una nuova legge per consentire alla quota pubblica di scendere in Gdf al di sotto dell’attuale soglia minima del 70 per cento. Lo stesso Parlamento che nell’estate 2004 ha votato la soglia minima del 70 per cento deve adesso ricredersi, facendola scendere al 35 per cento. Ovviamente il primo ministro sa che la fusione diventerà impossibile se la legge non verrà approvata. C’è aria di battaglia.
Il governo può contare sulla maggioranza dei deputati e dei senatori, ma la vera insidia viene dalle piazze: ieri le confederazioni sindacali hanno ribadito la loro contrarietà alla fusione e questo obiettivo sta entrando nella lista delle proteste antigovernative di quella che si sta prospettando come la «primavera calda» francese. Le cose vanno complessivamente male per il primo ministro Villepin, la cui popolarità - crollata nell’ultimo mese - è oggi su livelli molto bassi. Ieri sono state rese note le cifre sulla disoccupazione, che ha ripreso ad aumentare dopo nove mesi di calo e che torna vicina a quota 10%. Inoltre gli studenti sono scesi in piazza, sempre ieri, per protestare contro una delle iniziative più care a Villepin: la creazione del Cpe («Contratto per il primo posto di lavoro»), che prevede la libertà di licenziamento dei giovani per un periodo di due anni. Il 7 marzo manifesteranno insieme gli studenti (contro il Cpe) e i dipendenti del settore pubblico (contro la politica sociale del governo e la fusione Suez-Gdf). La fragilità politica del primo ministro pesa non poco sull’avvenire dell’operazione annunciata. Un altro punto interrogativo viene dal futuro comportamento dell’azionista più importante di Suez: il finanziere Albert Frère, che ha in portafoglio l’8% delle azioni e il 13% dei diritti di voto. La presenza dell’imprenditore belga in seno a Suez è sempre stata considerata una garanzia della fedeltà del gruppo agli interessi del regno. Una circostanza di grande rilievo, visto che Suez ha il 100% del capitale di Electrabel, ossia della società che dà energia ai belgi. Adesso questi ultimi non sono per niente soddisfatti dell’idea che le loro lampadine si accendano e si spengano per volontà di un gruppo, Gdf-Suez, il cui principale azionista sarà lo Stato francese col 35% del capitale e in cui i capitali belgi saranno fortemente ridimensionati.
In questo contesto di polemiche risultano curiosi gli atteggiamenti trionfalistici assunti dai presidenti Mestrallet, che sarà il numero uno della società derivante dalla fusione, e Cirelli in occasione della loro conferenza stampa comune.

Quanto agli analisti francesi, la loro posizione - di cui si è reso interprete il giornalista economico Eric Revel, commentatore della rete tv Lci - è una sorta di sfida a Enel: perché, ci si chiede a Parigi, il gruppo italiano ha ipotizzato un’Opa che non ha mai concretamente lanciato? E perché - se ne ha le forze e il coraggio - non la lancia adesso che Suez è ancora vulnerabile in Borsa? Gli azionisti di Suez non chiederebbero nulla di meglio dopo che il titolo ha perso quasi il 10% in due sedute. A Parigi sono in tanti a pensare che l’Enel abbia scherzato col fuoco, col risultato di scottarsi le dita.

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