Francia, pugno di ferro per fermare la rivolta

Il governo annuncia una politica di investimenti nelle aree più sfavorite del Paese

Alberto Toscano

da Parigi

Il primo ministro francese Dominique de Villepin è andato ieri all'Assemblea nazionale per proporre il programma governativo, destinato a ripristinare l'ordine nelle aree urbane della Francia intera, mettendo così fine alla «intifada delle banlieue», in atto dal 27 ottobre. «La sconfitta della violenza è la nostra priorità assoluta, senza la quale niente di niente potrà essere fatto», ha detto Villepin di fronte ai deputati. Per ottenere lo scopo Villepin ha proposto misure eccezionali, di cui nessuno immaginava solo qualche settimana fa una possibile riesumazione. Una legge varata nel 1955 per mantenere la calma all'epoca della guerra d'Algeria torna oggi in vigore con la proclamazione di una sorta di «stato d'emergenza a geometria variabile». Tocca ai prefetti applicare concretamente le norme dello stato d'emergenza, che consentono il coprifuoco notturno, il divieto di ogni genere di assembramenti, la chiusura dei luoghi pubblici suscettibili d'ospitare assembramenti sovversivi, le perquisizioni facili ad ogni ora del giorno e della notte, nonché il sequestro di armi possedute legalmente (oltre, ovviamente, a quelle detenute in modo illegale). Al tempo stesso Villepin ha annunciato in Parlamento un giro di vite contro l'immigrazione clandestina: aumenteranno le espulsioni dei sans papiers con ogni mezzo, compresi i charter alla volta dei Paesi asiatici e soprattutto africani.
Villepin ha poi esposto la seconda parte del programma governativo: investimenti a favore delle aree considerate come meno «favorite» della Francia intera. Insomma la carota dopo il bastone. Una carota tutta da verificare, perché l'applicazione concreta delle misure straordinarie di sostegno economico e sociale alle banlieue dipende dal ripristino di una normale condizione di convivenza civile. Villepin ha detto che migliaia di insegnanti e di assistenti sociali verranno inviati dallo Stato nelle periferie disagiate e ha chiesto ai deputati di manifestare il proprio sostegno al piano dai due volti: repressione oggi e investimenti domani. Solo i comunisti e i verdi (ossia una piccola minoranza dell'Assemblea nazionale) hanno respinto il progetto governativo. I socialisti e i liberali dell'Union pour la démocratie française (Udf) hanno dato il loro «sostegno critico». L'Union pour un mouvement populaire (Ump, il partito che ha la maggioranza assoluta dei seggi) ha aderito con entusiasmo alle proposte del primo ministro, egli stesso esponente di questa formazione politica. Dunque la Francia ufficiale ha risposto alla guerriglia urbana, arrivata alla sua dodicesima notte consecutiva di incidenti.
Il bilancio è salito a 330 fermi e 1173 auto date alle fiamme nell'insieme del Paese. Ma c'è una novità che conferma l'idea di un declino della guerriglia metropolitana. La regione parigina, dove l'alta marea delle violenze è partita il 27 ottobre scorso, è ormai relativamente tranquilla, mentre gli incidenti proseguono intensi nelle periferie urbane del resto del Paese. Proprio nella regione parigina sono state dislocate le forze di sicurezza precettate dal governo per far fronte all'emergenza. Ieri in Parlamento Villepin ha confermato ciò che aveva detto il giorno precedente di fronte alle telecamere di un tiggì serale: richiamo di 1500 riservisti della gendarmeria, destinati a sostenere le ormai stremate forze di polizia. In tutto il dispositivo antisommosse conta oggi 9500 uomini, che potrebbero ulteriormente aumentare, se necessario.
Ma non sarà necessario. La guerriglia delle banlieue si sta esaurendo pur tra nuovi e terribili colpi di coda. La magistratura condanna ormai senza la condizionale decine di teppisti al giorno e la prospettiva di passare vari mesi dietro le sbarre comincia a far paura. Ieri all'Assemblea nazionale il primo ministro Villepin ha precisato che lo stato d'emergenza durerà dodici giorni e che potrà essere rinnovato. Probabilmente il rinnovo non sarà necessario, ma poi bisognerà vedere se le banlieue urbane ritroveranno un po' di speranza nel proprio futuro.

Il primo ministro dice che le principali aree «sfavorite» diventeranno altrettante «zone speciali» con investimenti detassati per le imprese che assumono nel proprio personale almeno un terzo di dipendenti provenienti dal quartiere stesso. È un'idea per rilanciare la speranza, ma la gente dei ghetti urbani crede poco in questo tipo di rimedi solo apparentemente miracolosi.

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