Ciò che è accaduto ieri mattina a Milano, fra le bancarelle di via Osoppo, segna un decisivo salto di qualità nella campagna elettorale più arroventata degli ultimi anni. Le contestazioni a Letizia Moratti non sono certo una novità ( è capitato ancora l’altro giorno, davanti al Pirellone, nel corso di una manifestazione di disabili), e del resto appartengono pienamente alla dialettica democratica: tutti, e tanto più un politico, possono essere fischiati. Ma un conto è esprimere, anche in maniera rude, la propria contrarietà, e un altro è impedire all’avversario di manifestare le proprie opinioni. In altre parole, i fischi e i fischietti sono del tutto legittimi alla fine di un discorso, ma diventano intimidazione e violenza se servono ad impedire che quel discorso venga pronunciato. Ieri, poi, ai fischi e ai fischietti le improvvisate Brigate Pisapia hanno aggiunto anche gli spintoni, e una signora è finita al pronto soccorso. Si tratta soltanto di un caso, di una sciocchezza, di un’intemperanza isolata? No, non è così. E su questo occorre essere estremamente onesti, prima di tutto con se stessi. In Italia si combatte da troppi anni una guerra civile fredda. Darne la colpa a Berlusconi o agli antiberlusconiani, a seconda delle appartenenze e delle opportunità, è soltanto un altro modo per continuare a combatterla. Le cause contano poco: conta molto, invece, il modo in cui le classi dirigenti e il ceto politico di governo e di opposizione affrontano la radicalizzazione dello scontro in atto. È indubbio che nell’antiberlusconismo militante si annidino anche frange violente: del resto, in tutti i Paesi del mondo accade che gruppi radicali di opposizione, ogni tanto, s’infiltrino in una manifestazione di protesta o aggrediscano un avversario. Il punto è un altro: e cioè la decisione - politica, culturale e persino morale di tollerare o persino cavalcare l’estremismo, oppure la scelta di erigere (come per esempio fece il Pci dopo il ’77) una massiccia parete stagna fra politica e violenza. Insomma, non è colpa di Pisapia se qualche disgraziato in suo nome spintona una signora anziana. Ma è una sua precisa responsabilità politica se quel disgraziato non viene immediatamente isolato ed espulso dal movimento che sostiene il candidato sindaco del centrosinistra, insieme a tutti i suoi disgraziatissimi compagni di lotta. Milano si trova ad una scelta cruciale, delicata e decisiva, sovraccaricata oltre misura di significati politici e persino «storici», e di tutto ha bisogno tranne che di un ritorno alla violenza politica, all’intolleranza di strada, all’intimidazione degli avversari. Spetta a Pisapia, che legittimamente ambisce a diventare sindaco della città, dimostrare, senza tentennamenti e oltre ogni ragionevole dubbio, che fra il centrosinistra e i gruppi violenti che frequentano alcuni centri sociali o altre strutture «alternative» della metropoli lombarda c’è una muraglia impenetrabile. Tanto più che non condannarli esplicitamente, o, peggio ancora, accettare oggi il loro appoggio anche indiretto, significa contrarre un debito politico che andrà prima o poi saldato. La questione dei «toni» qui non c’entra niente. Ciascun candidato e ciascun partito è libero di essere estremista o moderato, insultante o sorridente, accondiscendente o polemico. La campagna elettorale è precisamente la grande agorà dove gli elettori incontrano i loro candidati, li valutano, li scelgono. E i candidati hanno non soltanto il diritto, ma anche e soprattutto il dovere di dire come la pensano nel modo che preferiscono. Poi, naturalmente, ci sono gli strateghi e gli spin doctor a suggerire e a giudicare: ma, più o meno come accade agli allenatori del pallone, alla fine si può teorizzare tutto e il contrario di tutto, anche perché manca sempre la controprova: le elezioni, come le partite, non si possono rigiocare. Non bisogna però mai confondere la violenza verbale (che è un’opzione fralealtre, protetta dall’articolo 21 della Costituzione) con ogni forma di violenza fisica, anche la più minuta o minore. Quel confine non può essere mai varcato, la guardia non può essere mai abbassata.
Giuliano Pisapia e il Partito democratico, che della coalizione dovrebbe essere l’architrave e che, tuttavia, in queste ore, sembra preso più dalla sbornia della vittoria anticipata che dal realismo della politica, hanno oggi il dovere di dire una parola chiara e definitiva.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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