Frequentazioni catartiche

Ne «La fine di Shavuoth», forse il più bello spettacolo della stagione andato in scena a gennaio al Litta, Mattia Fabris interpreta il ruolo di un attore giovane e spavaldo, un autodidatta di successo che, nella Praga d'inizio Novecento, ha uno spettatore d'eccezione come Kafka. Nella vita Mattia è effettivamente un giovane attore, ma tutt'altro che autodidatta: anche lui, come la maggior parte di coloro che calcano i palcoscenici milanesi, si è diplomato alla «Paolo Grassi». La sua recitazione coinvolge in maniera totalizzante il corpo, ne fa uno strumento espressivo ricco di sfumature quasi sonore, come se fosse uno strumento musicale. Per questa ragione Fabris ha insegnato training fisico in vari laboratori scenici, mentre da quest'anno tiene un corso presso Campo Teatrale, una delle scuole di teatro più attive della città. Anche lui quindi fa parte di quel circuito virtuoso in cui giovani attori insegnano ad altri giovani a diventare attori. Sempre più spesso infatti i corsi di recitazione sono tenuti da trentenni che, proprio come Fabris, hanno alle spalle già un ricco curriculum professionale e possiedono un'attitudine didattica. Di solito le scuole che li ospitano si trovano all'interno dei teatri: a Milano peraltro è difficile trovarne qualcuno che non offra un ampio ventaglio di corsi. Tra i più storici e i più qualificati c'è senza dubbio l'Arsenale, affiancato dal Verdi, dal Litta, dal Libero, ma anche da strutture di dimensioni più vaste e istituzionali, come il Carcano o il Franco Parenti. Con la sola eccezione dell'Arsenale, che forma anche attori professionisti, gli altri propongono cicli di lezioni introduttive che possono essere frequentati nel tempo libero. Nell'economia dei piccoli teatri i corsi sono da tempo un voce rilevante: non solo forniscono utili da reinvestire nella programmazione, ma consentono anche di ampliare il pubblico invogliando gli alunni a diventare spettatori abituali. Le scuole di recitazione in città assommano a una quarantina e sono frequentate nel complesso da alcune migliaia di persone. Un dato impressionante che va ad aggiungersi al sensibile aumento degli spettatori che si registra ogni anno. E' come se a Milano il teatro esercitasse davvero quella funzione catartica per cui è nato, come se svolgesse un ruolo di compensazione dello stress, come se facesse fronte al senso di disorientamento che caratterizza molti dei suoi abitanti. Marina Spreafico, direttrice del teatro e della scuola dell'Arsenale, afferma che i suoi studenti si approcciano ai corsi con enormi aspettative, una vera e propria tensione esistenziale che in parte la lusinga e in parte la preoccupa. L'altra faccia della medaglia è invece rappresentata da chi, più prosaicamente, fa dell'abilità recitativa uno strumento per il business. Nelle scuole più grandi e più attrezzate, come Campo Teatrale, il Centro Teatro Attivo o l'Accademia dello Spettacolo, abbondano infatti i corsi rivolti alle aziende nei quali si offre una preparazione specifica per manager, comunicatori e venditori di spazi pubblicitari. Campo Teatrale, nello spettro magmatico delle sue offerte, propone anche seminari molto trendy, come quello ispirato a Twilight, il bestseller dedicato «all'amore impossibile tra un'umana e un vampiro», temerariamente accostato alle vicende di Romeo e Giulietta. Al di là di singoli episodi di marketing creativo, sia questa sia le altre scuole danno formazione di qualità e diplomano anche attori professionisti di buon livello. Oggi il loro numero è aumentato parallelamente alle possibilità di recitare non solo in teatro ma anche nella pubblicità, nella televisione e in quel poco di cinema che si fa ancora a Milano.

Il rischio, denunciato da Fabris, è che in questi casi «si inneschi il meccanismo del mestiere», che «si faccia l'attore timbrando il cartellino», dimenticando che il pubblico, in particolar modo quello milanese, chiede ben più di una efficace performance scenica.

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