Friedkin, il maestro «esorcista» si dà alla lirica

LocarnoLa potenza dei media, nelle questioni che girano intorno al nucleo fiammeggiante della giustizia, è enorme. Lo conferma «il regista del male» William Friedkin (L’esorcista, 2 Oscar), ieri insignito del «Pardo d’onore» alla carriera e scatenato (finalmente qualcuno di vitale, nell’asfittico panorama festivaliero) nel ricordare come e perché il suo film Il braccio violento della legge (5 Oscar nel 1971) abbia fatto scarcerare un innocente. «Nella vita tutto è casuale: se non avessi girato quel film con taglio documentaristico, servendomi dei “carrelli” inventati da un aiuto regista cubano che aveva documentato le lotte di Fidel Castro ed era abituato a un linguaggio crudo e realista, non avrei salvato un innocente dalla sedia elettrica».
Stando al racconto di questo americano classe ’39 che rappresenta al meglio lo spirito del cinema indipendente Usa (profonda la sua influenza sul poliziesco anni ’70, a fronte d’un esemplare ribaltamento dello schema classico «buono contro cattivo», in nome d’un realismo pessimista accattivante), un magistrato americano avrebbe deciso di graziare un innocente, subito dopo la visione del suo capolavoro. «I film - dice - si fanno, perché si sono visti altri film e, del resto, io ho cominciato come fattorino alla Chicago Wgn, una stazione televisiva, dove mi sono fatto le ossa». Tre matrimoni (tra i quali uno con l’attrice francese Jeanne Moreau), due figlie e una precisa inclinazione, attualmente, per l’opera (a breve dirigerà, a Parigi, La fanciulla del West di Puccini), Friedkin rievoca il suo incontro-choc con Linda Blair. «Anche nell’incontro con gli attori regna il caso. All’epoca in cui facevo i provini per L’esorcista Jane Fonda, da me contattata, si trovava nella sua fase ribelle “Hanoi Jane” e rifiutò il film, perché “troppo capitalista”, Ellen Burstyn aveva venti chili di troppo... Finché un giorno mi si presentò Linda Blair, undici anni. La trovai perfetta. Soprattutto quando mi provocò: “Che sarà mai? Devo soltanto schiaffeggiare mia madre e masturbarmi con un crocifisso. Perché, lei non l’ha mai fatto?”».
Ritenuto il più europeo dei cineasti americani della sua generazione, Friedkin, ebreo-russo d’origine e figlio «di un ex-marinaio, che non ha mai guadagnato più di 50 dollari a settimana», ieri ha tenuto anche una lezione magistrale, rispondendo alle numerose domande del pubblico. «Sono onorato di ricevere il “Pardo d’onore” alla carriera e se devo fare un bilancio della mia vita, posso ritenermi fortunato. Anche perché, a un certo punto, m’ero messo a seguire le orme di mio padre, guadagnando assai poco per sopravvivere». Elegante, con la camicia blu da crocerista sul lago, l’artista è stato generoso di sé. «Tommy Lee Jones? È colto, capisce tutto, ma guai a non mettergli i segnetti col gesso a ogni passo che deve muovere sul set: si perde in un bicchier d’acqua.

Benicio Del Toro, invece, è nevrotico: chiede spiegazioni su ogni minimo dettaglio. Anche Dustin Hoffman è meticoloso, però recita». Quest’animale di Hollywood è tutt’altro che tenero col cinema di oggi: «Lo trovo piuttosto decadente, preferisco dedicarmi all’opera, genere a me più congeniale».

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