Alberto Pasolini Zanelli
Il risultato elettorale in Cile non conferma e non contraddice, non accelera ma soprattutto non frena. Non stupisce e non preoccupa che resti nelle mani della sinistra moderata il Paese che costituisce da qualche tempo unisola di stabilità e di benessere nellAmerica Latina. Tuttal più si può temere che del risultato cileno si approprino i demagoghi dellaltra sinistra sudamericana, quella variegata, spesso arcaica, sempre emotiva che si riconosce in Chavez, in Morales, nel fantasma di Che Guevara e nel fantasma incarnato in Fidel Castro. Cè in Sudamerica una tendenza generale di rigetto dellesperimento «neoliberale» tentato negli ultimi ventanni un po dovunque nel mondo «in via di sviluppo», con straordinario successo, soprattutto in Asia; ma nellAmerica Latina ha funzionato bene, a eccezione appunto del Cile.
Oggi siamo in fase di riflusso. Unonda rabbiosa e forse anche unonda lunga. La sinistra è al potere in Argentina, Brasile, Cile, Venezuela, Bolivia, Uruguay. Controlla quasi 300 dei 365 milioni di abitanti del Sudamerica, e il numero pare destinato a crescere, visto il calendario elettorale del 2006. Potrebbe venire il turno del Perù, mentre anche in Ecuador i governi «moderati» cadono luno dopo laltro. L«onda rossa» potrebbe estendersi poi verso nord, investendo un baluardo filoamericano in Nicaragua (dove si delinea la possibilità di un ritorno al potere dei sandinisti, questa volta attraverso le urne e non la lotta armata, guidati dal dittatore di ieri Daniel Ortega) e perfino in Messico, che aveva spezzato il monopolio del Partido rivolucionario institutional eleggendo Vicente Fox, leader della destra, ma a cui questanno potrebbe succedere addirittura il candidato dellestrema sinistra, Andrés Manuel Lopez Obrador.
Lo scenario è più variegato di quanto possa apparire dal semplice elenco di nomi e Paesi. Il «gigante» dellAmerica Latina, il Brasile, è retto da Luiz Inacio Lula da Silva, che nonostante i modi e il passato pittoreschi cerca di barcamenarsi fra il riconoscimento delle realtà economiche e politiche, che gli consiglia moderazione, e le spinte dellala più radicale della coalizione che lo ha portato alla presidenza.
Un esempio degli umori di alcuni in questultima frangia viene dal mondo dello spettacolo: il cabarettista più alla moda di Rio de Janeiro usa il nome darte Lenin. In Uruguay Tabaré Vazquez ha portato per la prima volta alla vittoria il Frente Amplio, nato trentanni fa e che comprende i figli, o i nipoti, dei Tupamaros. In Argentina legemonia peronista è così salda cinquantanni dopo la cacciata di Perón da sopravvivere allimpopolarità di un presidente corrotto come Carlos Menem. Il suo successore, Nestor Kirchner, che del peronismo rappresenta lala sinistra e che, arrivato alla Casa Rosada nel momento del tracollo delleconomia, ha saputo acquisire una popolarità emotiva sfidando i consigli e i dettami del Fondo monetario internazionale: rinunciando ai suoi aiuti, ma rifiutandosi anche di pagare lingente debito con lestero e preferendo investire quei soldi per un rilancio delleconomia nazionale. Gli umori degli argentini sono venuti alla luce anche nel novembre scorso durante la visita di George Bush per il vertice panamericano a Mar del Plata: il presidente Usa fu preso a male parole dal venezuelano Chavez, cui il padrone di casa, sostanzialmente, si associò.
E lanno si è concluso ancora peggio per Washington, con lelezione in Bolivia di Evo Morales, portato dal vento della protesta sociale del Paese più povero del Sudamerica, ma anche delle istanze dei coltivatori delle foglie di coca, che gli americani vorrebbero distruggere, mentre il neo presidente vuole liberalizzare la cocaina. Morales, inoltre, appena eletto ha sentito il bisogno di andare allAvana per rendere omaggio a Fidel Castro. Anche in questo seguendo lesempio di colui che sta emergendo come il vero leader del Sudamerica nella sua rinnovata versione anti-yankee: il venezuelano Hugo Chavez, cui laumento tumultuoso del prezzo del petrolio, successivo alla guerra in Irak, ha dato temporaneamente i mezzi per unondata di nazionalizzazioni e ridistribuzione di redditi che gli garantisce, finché dura, un solido appoggio fra le masse dei diseredati.
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