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«In fuga dall’Egitto 100mila copti» Non è più un Paese per cristiani

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La giunta militare egiziana ieri ha chiesto scusa per quello che è successo domenica al Cairo, quando durante gli scontri tra manifestanti cristiani copti, polizia ed esercito sono morte almeno 36 persone. Ieri, in migliaia si sono riuniti nella grande cattedrale copta di Abassiyah, nel cuore del Cairo, per i funerali delle vittime: «Con lo spirito con il sangue proteggeremo la croce», gridavano tra le navate. Le immagini degli scontri di domenica mostrano i blindati dell’esercito buttarsi a tutta velocità sulla folla, la polizia in assetto anti-sommossa picchiare i manifestanti, veicoli della polizia in fiamme, i cadaveri di civili ammassati all’obitorio.
I militari al potere al Cairo da febbraio hanno accusato «colpevoli sconosciuti» che hanno istigato alla violenza. Il premier Essam Sharaf ha promesso un’inchiesta sui fatti. Il ministro dell’Informazione Osama Heikal ha detto che ci sarebbero «mani straniere» dietro l’accaduto. Generali e politici hanno usato le stesse parole dell’ex regime abbattuto a febbraio da settimane di rivoluzione di piazza. I cristiani erano scesi in strada a manifestare proprio in protesta contro i leader in divisa, accusati di continuare nei modi il regime che fu di Hosni Mubarak, con leggi di emergenza, tribunali militari, arresti arbitrari. E di fare peggio: di non proteggere quella minoranza cristiana che, nonostante incidenti e violenze tra musulmani e cristiani siano da sempre una triste costante in Egitto, si sentiva più protetta ai tempi del dittatore. Negli ultimi mesi gli incidenti interreligiosi sono aumentati. L’ultimo, il 30 settembre ad Assuan, nel Sud del Paese, ha visto scontri tra musulmani e copti sulla costruzione di una chiesa. In Egitto una legge proibisce ai cristiani di costruire e ristrutturare chiese senza un permesso delle autorità. La comunità teme inoltre l’ascesa di movimenti islamisti, come i Fratelli musulmani, favoriti alle urne di novembre, e una maggiore organizzazione da parte di gruppi salafiti, prima tenuti isolati dal regime. Secondo dichiarazioni di Naguib Gabriel, avvocato copto a capo della Egyptian Federation of Human Rights, da marzo 100mila cristiani avrebbero lasciato il Paese. La cifra non trova un riscontro da nessun’altra parte ed è difficile verificarla indipendentemente, ma preoccupa il ministro Franco Frattini, che spera in una condanna da parte del Consiglio dei ministri europei.
Dalla rivoluzione la comunità copta ha più paura. I cristiani domenica protestavano contro la giunta militare, imputando ai militari l’incapacità di proteggere la minoranza cristiana. E ieri mattina l’esecuzione di un uomo accusato di essere implicato nell’uccisione di sei copti nella strage di Naga Hamadi, nel Sud del Paese, nel 2009, è sembrato un gesto disperato delle autorità per calmare l’ira della comunità cristiana, il 10% di una popolazione di 75 milioni. Intervistato da Al Jazeera, Hossam Bahgat, dell’associazione Egyptian Initiative for Personal Rights, ha raccontato come la sua organizzazione monitori da dieci anni l’odio interreligioso ma che non aveva mai visto un incidente del genere. Finora, ha detto, ci sono stati scontri tra cristiani e musulmani, mai tra cristiani ed esercito. E gli attivisti egiziani sottolineano come sia la prima volta dalla rivoluzione che l’esercito, eroe della piazza, abbia puntato i fucili contro i cittadini. Durante le violenze, la tv di Stato ha usato toni dell’Ancien régime di Mubarak, parlando per ore soltanto di due soldati uccisi dai manifestanti copti, omettendo le decine di morti tra i civili.


Le autorità hanno chiamato «gli onesti egiziani» a venire in aiuto all’esercito sotto attacco. Un appello del genere istiga alla violenza, spiega Issandr Al Amrani, esperto di Egitto: «Il discorso dei media non è cambiato da febbraio quando la tv del regime parlava di cospirazione straniera».

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