Fuori i nomi eccellenti prima degli Europei Lo scandalo fa vincere

La procura è piccola, la gente mormora. Si dice, si sussurra, forse,può darsi, chissà. Il solito teatrino di casa Italia, piove governo ladro anche se non si sa bene chi sia il responsabile del reato. Eppure qui ci sarebbero le carte, i documenti, le intercettazioni, i testimoni, i pentiti, i denari, le scommesse, gli zingari. Almeno pare, almeno così farebbe intendere l’ufficio del procuratore, almeno così viene ipotizzato nelle conferenze stampa. Dunque si potrebbe e si dovrebbe procedere.
E invece che fanno quelli di Cremona? Insinuano, preannunciano, rinviano a primavera inoltrata, anzi all’estate prossima, l’ultima, clamorosa verità, lo tsunami che dovrebbe travolgere il mondo del football, quello dei numero uno, quello che riguarderebbe anche alcuni tesserati illustri a disposizione di Cesare Prandelli. Non riporto il loro identikit, mi avvalgo della facoltà di non supporre, gioco con il dubbio poco amletico: so ma non dico? dico ma non so?
Sembra la ripetizione della storia maledetta del duemila e sei, voci, illazioni, serpenti che si infilarono dovunque e resero il popolo più bruto del solito.
Allora Cannavaro e Buffon e anche Lippi vennero presi a fischi e pernacchie durante il ritiro della squadra che preparava la trasferta tedesca per la coppa del mondo. La nuova aria etica (!?) che soffiava sul nostro calcio, spinta dal governo tecnico dei commissari straordinari e della loro orchestra, tentò di tagliare teste e corpi. I tre di cui sopra, Cannavaro, Lippi e Buffon, appartenevano, o erano reduci, della stessa comitiva bianconera sotto inchiesta ma le ragioni del loro sedicente e presunto «crimine» erano differenti: doping, scommesse, complicità in misfatti, roba da radiazione e confino.
I loro cognomi, i sospetti bastardi restarono sulle pagine dei giornali, nel vociare dei bar, il fastidio e il senso di vergogna non furono e, non sono stati ancora, cancellati.
La nazionale, comunque, partì per la Germania, Guido Rossi, il duce di allora di tutto il calcio italiano, l’uomo che sentenziò e ancora sentenzia ordinando, democraticamente e con grande raffinatezza, di tacere a chi la pensa diversamente, decise che i tre non andassero sospesi, anzi.
L’Italia giocò, vinse, il trionfo di Berlino, firmato anche dai tre, maledetti e insultati fino al giorno prima, servì a far dimenticare, improvvisamente, quel clima unto e odioso. Del resto anche nel mondiale spagnolo del 1982 la vittoria finale contribuì a cestinare le polemiche e le interrogazioni parlamentari sugli emolumenti, i premi e i carichi fiscali privilegiati (falsa notizia) degli azzurri.
Ora la procura di Cremona potrebbe sfruttare la grande occasione per scrivere la stessa storia: tiri fuori i nomi e i cognomi dei presunti colpevoli, dica tutta la verità, nient’altro che la verità su fatti e circostanze, però lo faccia alla vigilia della trasferta azzurra in Polonia e Ucraina. L’aria della nazionale ci sembra troppo quieta, ci vuole un tifone per scuotere dal torpore Prandelli e compattare il gruppo come seppero fare Enzo Bearzot prima, Marcello Lippi dopo. Il paradosso è una provocazione, la provocazione è paradossale ma con i giudici è meglio non scherzare.


Resta il disagio, come avere addosso una camicia bagnata, di una storia che ha molti attori, qualche regista una trama chiara ma con troppi finali a disposizione. E nessuno ha voglia di entrare in quel cinematografo per assistere al film.

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