La gaffe del segugio D’Avanzo: fiutare il dossier che non esiste

L’editorialista-giustizialista di Repubblica ci accusa di spargere fango su ordine di Berlusconi. E prende l’ennesimo granchio. Eppure lui di dossier se ne intende: Cossiga propose perfino di assumerlo nei Servizi

La gaffe del segugio D’Avanzo:  
fiutare il dossier che non esiste

È proprio vero: non si diventa il principe dei cronisti giudiziari per nulla. Ieri Giuseppe D’Avanzo ha seguito il suo fiuto infallibile di segugio - non come quelli scalcagnati in forza al Giornale - e con il suo retino è andato ad acchiappare il Nulla. Ovvero, il terribile dossier che quella macchina del fango chiamata Giornale aveva in animo di sputare in faccia a Emma Marcegaglia. Insomma, su Repubblica ha prodotto una lunga articolessa per impaginare il vuoto, perché, come i nostri lettori sanno, quel dossier non esiste. L’hanno cercato i carabinieri, non l’hanno trovato e allora ci si è messo lui, il peso massimo della notizia.

Il supersegugio del quotidiano romano aveva due non indizi formidabili. Primo: «Sallusti dice che il dossier c’era... così ora si può pubblicare. Feltri fa sapere che ne farà addirittura quattro pagine». Certo, quattro pagine di collage, quattro pagine pescate dal mare dei più grandi quotidiani italiani, a cominciare proprio da Repubblica. Ironia della sorte, la prima pallottola utilizzata dai killer del Giornale era già stata esplosa dalla pistola di Emilio Randacio e Walter Galbiati che l’11 novembre 2008 avevano raccontato su Repubblica i diciassette conti segreti di Marcegaglia. Pazienza.

Il segugio D’Avanzo avrebbe dovuto fiutare se stesso, un’operazione troppo difficile e allora dopo aver sottolineato «il cambio di scena» del Giornale, pronto a tirare fuori dai cassetti quel che prima sosteneva di non avere, se la prende con il premier. Il motivo? Eccoci al secondo non indizio: il silenzio del premier. Berlusconi tace. Non dice una parola. Non stigmatizza il comportamento dei giornalisti che imbrattano di fango le edicole. Forse perché intuisce, come peraltro ha detto chiaro e tondo Fedele Confalonieri, che più in là del cazzeggio, deprecabile finché si vuole ma pur sempre tale, Nicola Porro e Il Giornale non sono andati. Chi può credere a tali panzane?

E invece no. Un tempo i maestri del giallo dicevano che tre indizi fanno una prova, ora bastano due non indizi e l'assassino ha un nome. Il Giornale tace, il premier, peraltro in dacia con l’amico Putin, pure, quindi la democrazia è in pericolo e la macchina del fango è in piena azione. Veramente, pure la Marcegaglia, intervistata dal Corriere della sera, ha spiegato che si era ben guardata dal denunciare ai giudici le presunte manovre ricattatorie perché non le riteneva rilevanti dal punto di vista penale. Ma questi, ci mancherebbe, sono dettagli. D’Avanzo ci crede, afferra i tentacoli invisibili del complotto, scuote l’albero del male e vede cadere a terra i frutti avvelenati dell’informazione. Tutto perché fra una sauna con l’amico Vladimir e una cantata - non di Apicella e nemmeno di Arpisella, ma di un gruppo australiano - il Cavaliere non se l’è sentita di porgere la sua solidarietà alla presidente colpita e messa in crisi da un sms. Scrive lucidamente D’Avanzo: «È un distacco che conferma come dietro le aggressioni del suo giornale ci sia sempre la sua volontà, il suo risentimento contro chi immagina lo abbia tradito o lo voglia tradire».

Il teorema dell’inviato principe è lì, ben squadernato nella sua imponenza: c’è un’aggressione, anche se solo Woodcock l’ha percepita, e dietro quell’aggressione c’era la volontà del Cavaliere, che però, poveretto, non dev’essersi accorto di niente.
Dunque, D’Avanzo suona tutte le campane di cui dispone: l’Italia è in pericolo perché i piromani del Giornale continuano ad appiccare incendi e il loro mandante morale, sempre lui, non muove un dito per fermarli. Siamo, è evidente, dalle parti del nulla, ma il segugio del giornale romano non si dà per vinto e continua ad inseguire fantasmi riga dopo riga. Strepitoso.

Torna in mente, chissà perché, un’interpellanza scritta nel 2006 dallo scomparso presidente Francesco Cossiga. Il «picconatore», sempre sul filo dell’ironia e del paradosso, si rivolse al ministro dell’Interno per sapere se i «giornalisti Marco Travaglio e Giuseppe D’Avanzo siano nel libro paga, e per quale somma, del capo della polizia dottor Gianni De Gennaro… e per sapere inoltre, qualora l’ipotesi sia vera, se non ritenga di rendere permanente e più ampia la loro collaborazione facendoli assumere come informatori occulti dal Sisde». Naturalmente, era un gioco di parole, come è un patchwork di luoghi comuni l'articolo di D'Avanzo e come è un collage il famigerato dossier del Giornale.

Due non indizi per dimostrare quel cui nessuno crede:

Il Giornale voleva ricattare la Marcegaglia estorcendole, addirittura, un’intervista e un’intervista pro Berlusconi. Ci voleva un segugio di razza come D’Avanzo per scoperchiare un pentolone senza coperchio. Anzi, vuoto.

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