da Gaza
Si è fatta saltare in aria ieri sera, al tramonto, nel campo profughi di Jebalia, nel nord della Striscia di Gaza. Era una nonna. Indossava una cintura esplosiva e si stava avvicinando a un gruppo di soldati israeliani. I militari hanno capito che quellanziana signora portava attaccata alla vita un pericolo mortale, hanno lanciato verso di lei una granata assordante. Volevano fermarla, non ucciderla. Quando ha notato quel piccolo ordigno in aria avvicinarsi velocemente, lei non ha esitato: uno strappo al detonatore e nonna Fatma, così si chiamava, è esplosa. Di rabbia, di tristezza, di voglia di vendetta. Lo scoppio ha ferito leggermente due militari.
Tra i primi accorsi la figlia, Fatheya. Piangendo accanto al cadavere dilaniato della madre, la donna ha raccontato il perché del gesto: «Gli israeliani hanno distrutto la sua casa, ucciso suo nipote, mio figlio. Un altri nipote è sulla sedia a rotelle con una gamba amputata. Lei e io eravamo andate alla moschea. Volevamo il martirio». La vendetta.
Fatma Omar an-Nayar aveva 64 anni. Oltre a Fatheya la piangono altri otto tra figli e figlie, e 41 nipoti. È la più anziana tra le kamikaze palestinesi entrate in azione. Come quasi tutti i «martiri» ha registrato un video prima di immolarsi. Minuta, vestita di nero, una sciarpa bianca al collo, imbraccia un fucile automatico che, tra le sue esili braccia, sembra enorme. Alle spalle la bandiera verde di Hamas.
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